Cosa c’è dietro lo schiaffo dell’Arabia Saudita a Biden, sul petrolio?
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A conferma che la recessione è sempre più probabile, e con
essa una forte riduzione del consumo di energia, c’è quest’altra notizia
clamorosa che viene dalla Cina: Pechino sta rivendendo all’Europa gas naturale che aveva comprato per sé.
Non lo fa per altruismo. La Cina sta rifornendo l’Europa perché sa che
la sua economia rallenta e i suoi bisogni energetici calano. Il gesto
cinese conferma che stiamo entrando in una congiuntura molto diversa, segnata dalla recessione, e questa spingerà i prezzi dell’energia al ribasso.
In quest’ottica la mossa che i sauditi hanno voluto decidere con l’Opec e con la Russia è anzitutto difensiva, anche se oggettivamente fornisce un sollievo alle casse di Putin.
Va precisato che i tagli non arriveranno veramente ai due milioni di barili annunciati, ma saranno solo della metà,
perché l’Opec è già al di sotto degli obiettivi di produzione che si
era data. Molti paesi produttori non riescono a estrarre il petrolio che
vorrebbero, perché da anni non investono abbastanza nei loro impianti.
E qui c’è una ragione di risentimento di MbS verso Biden.
L’ambientalismo dell’Amministrazione democratica ha proclamato da tempo una condanna a morte per le energie fossili. Wall Street abbraccia la nuova religione degli investimenti «puliti» con l’etichetta Esg. Di fatto continueremo ad avere bisogno di energie fossili ancora molto a lungo però le stiamo boicottando, privandole di capitali, e questo incide sulla loro produzione.
Quando Biden è andato a Riad a luglio a chiedere più petrolio, i sauditi lo hanno trovato abbastanza ipocrita. Sono loro a considerarsi traditi dall’America. Tanto più se al quadro generale aggiungiamo i tentativi di Biden – finora sfortunati – di resuscitare un accordo con l’Iran sul nucleare, che l’Arabia vede come una grave minaccia per i suoi interessi vitali.
Da tempo i potentati sunniti-conservatori del mondo arabo si chiedono se possono ancora contare sull’America per la loro difesa contro avversari temibili come gli ayatollah di Teheran. Dietro gli accordi di Abramo firmati durante la presidenza Trump vi era la ricerca di un posizionamento geostrategico alternativo che punta su Israele per compensare l’imprevedibilità della politica estera americana.
Biden da parte sua si sta già muovendo su altri scacchieri per depotenziare la mossa Opec+. Il presidente attingerà di nuovo alle riserve strategiche di petrolio americano, e così potrebbe immettere sul mercato altri 10 milioni di barili. Inoltre accelera il disgelo diplomatico con il Venezuela a cui potrebbe togliere le sanzioni, recuperando sul mercato un altro fornitore. Tra le ragioni fondamentali per cui è l’Arabia saudita che si sente tradita nei suoi interessi dall’America, c’è la politica monetaria: il motore principale che sta trainando il mondo verso una recessione (che ridurrà i consumi di petrolio) sono i rialzi dei tassi decisi dalla Federal Reserve.
Tra il costo del denaro che sale e il superdollaro che mette in difficoltà molti paesi importatori di materie prime, le visioni americana e saudita sono in rotta di collisione, a prescindere dalla Russia.
I conflitti tra americani e sauditi peraltro non sono una novità. È almeno dal primo shock petrolifero del 1973 che queste due nazioni uniscono una solida (finora) alleanza militare, e un’alternarsi oscillante di convergenze-divergenze sul terreno energetico-economico.
Questo riconduce ad un aspetto fondamentale della superpotenza americana.
Gli Stati Uniti sono l’unico paese al mondo che ha tre ruoli: sono grandi produttori-esportatori di energia; ne sono anche grandi consumatori; infine e compatibilmente con le prime due funzioni essi sono spesso i garanti della sicurezza energetica dei loro alleati dall’Europa al Giappone. Questa triade di ruoli mette gli americani in una posizione molto diversa dai sauditi, che sono solo produttori-esportatori, o dai cinesi giapponesi ed europei che sono solo consumatori. In questo momento, per una serie di ragioni che vanno dall’Ucraina alle elezioni di mid-term, Biden veste soprattutto i panni del consumatore di energia e garante degli alleati. Al punto da spingere verso la formazione di un contro-cartello che unisca i grandi consumatori, una sorta di anti-Opec. Sarebbe una funzione potenziale dell’Agenzia internazionale dell’energia, che però non ha mai avuto un vero potere di mercato. L’idea del tetto al prezzo del petrolio russo va in quella direzione. Biden vi aggiunge un altro segnale: potrebbe finalmente accedere alla richiesta del suo Congresso, di lanciare un procedimento anti-trust contro l’Opec, usando le armi della legislazione antimonopolista contro i colossi di Stato dei paesi emergenti che sono i veri padroni dell’energia fossile. Nessun’altra arma però è potente quanto quella che impugna la Federal Reserve con i suoi rialzi dei tassi che influenzano il mondo intero grazie alla supremazia del dollaro.
Se vogliamo sapere da che parte andranno i prezzi del petrolio, più che ai tagli dell’Opec+ che vorrebbero spingerli in su, dobbiamo guardare alle probabilità di una recessione globale che esercita una spinta nella direzione contraria.
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