Draghi, Mef e partito in agitazione: il risiko istituzionale della Meloni
All’esterno, la percezione è quella dell’accerchiamento. Su diversi fronti, dalla formazione del governo che verrà al delicato dossier economico (in primis quello energetico, che si porta dietro il rischio sempre più concreto di una recessione alle porte). Ma l’immagine di una Giorgia Meloni che prova a uscire dall’angolo la danno soprattutto le frizioni con Mario Draghi (e la sponda che si registra dall’Ue sul Pnrr), un Quirinale che fa filtrare di non voler essere tirato in mezzo alla trattativa per la formazione di un governo che «è politico» e, infine, un partito – Fratelli d’Italia – dove ormai si respira da giorni un clima da alta tensione. Non solo per l’ordine di scuderia di non parlare con i giornalisti (approccio che riporta ai tempi epici, fortunatamente andati, di quando sbarcò in Parlamento il M5s). E neanche per la caccia alle streghe che si è aperta mercoledì sera nel partito per sapere chi fosse il responsabile della soffiata ai media su Bruxelles e il Pnrr (fuga di notizie che tanto ha infastidito Mario Draghi). Ma sopratttuo perché il timore di molti dei big di Fdi è che dopo aver vinto le elezioni – riscattando una lunga storia di emarginazione politica – buona parte dei posti di governo saranno destinati a tecnici, magari d’area, considerati più adeguati di chi il lungo viaggio per uscire dall’ombra l’ha fatto davvero.
Un panorama complesso, di cui Meloni è perfettamente cosciente. All’ennesimo giorno chiusa nei suoi uffici di Montecitorio, infatti, al suo arrivo alla Camera decide di fermarsi all’ingresso a favore di telecamere per cercare di ricomporre la tensione con Draghi. «Con lui non c’è nessuno scontro», spiega. Circostanza che ha anche ribadito in un contatto diretto con Palazzo Chigi, mentre il premier era sulla via di Praga per il Consiglio informale dell’Ue. Il tentativo, insomma, è quello di chiudere l’incidente scaturito dalle sue valutazioni sul Pnrr e sul Consiglio europeo del prossimo 20 ottobre, parole pronunciate a porte chiuse con i suoi ma che sono poi filtrare sui media. E che hanno fatto infuriare la leader di Fdi. Forse un po’ troppo, considerando che quando parli a un esecutivo di partito davanti a una trentina di persone è piuttosto improbabile che il tutto resti riservato.
Ma è inevitabile che siano giornate tese. Fatalmente condizionate dalla formazione del governo che verrà, pratica che ha diverse criticità. La prima è il nodo del Mef, con Fabio Panetta che continua a dirsi indisponibile. Un «no» che forse potrebbe venir meno, se la squadra di governo fosse di livello e se il Colle in qualche modo si spendesse. Su questo punto Meloni ancora non dà la partita per persa, sa bene che portare Panetta al Mef sarebbe un segnale di grande credibilità verso i mercati e la comunità internazionale. La strada è in salita, ma qualche margine sembra esserci. Con la sponda del Quirinale, che però potrebbe eventualmente muoversi solo su richiesta della leader di Fdi e dopo aver visto quale squadra proporrà dove l’eventuale incarico. D’altra parte, il prossimo sarà un governo politico, le cui criticità vanno evidentemente (e preventivamente) risolte tra i partiti.
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