Berlusconi si offende, Salvini insiste sul Viminale e Meloni fa la Sfinge. Rese dei conti tra i partiti al gran ballo del governo

di Roberto Gressi

Dalle presidenze delle Camere alla scelta di ministri e sottosegretari passando per le commissioni. Centinaia di posti (sui quali ci si azzuffa)

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Accidenti se ce n’è di roba. Ministri, viceministri, sottosegretari, presidente di Montecitorio e Palazzo Madama, commissioni, centinaia di nomine. E c’è anche un reparto briciole, per le opposizioni, comun que ambite: vicepresidenti delle Camere, Copasir, Vigilanza Rai, Giunta per le immunità. Ce n’è per tutti, verrebbe da dire, invece si azzuffano, diamine se si azzuffano. Il totoministri impazza, tante ipotesi legittime. G iorgia Meloni, dopo i primi abboccamenti e in attesa che Sergio Mattarella la chiami, ha per ora pensieri sistemici, contro i passi falsi in partenza. Tre su tutti: l’effetto «dopo tutto quello che ho fatto per te», l’effetto classe dei ripetenti e l’effetto tenaglia. Il primo è il più facile da dribblare.

La linea

Giorgia ha fatto sapere ai suoi che chi si mette ad elemosinare alla sua porta sarà l’ultimo a portare a casa qualcosa, anzi non avrà proprio niente. Gli altri due sono più insidiosi da evitare, perché vengono dall’ingordigia degli alleati. Ci sono i ripetenti in attesa di un risarcimento, perché sono tanti anni che stanno nella stessa classe e vogliono passare all’università del governo, anche se rischiano di zavorrarlo. E poi, più politico, c’è il rischio tenaglia, perché Lega e Forza Italia pretendono quattro dicasteri ciascuno. Se quattro più quattro fa otto farebbe quasi mezzo governo, che se non rispondesse alla premier ma a logiche di partito, quasi di partito unico, riproporrebbe il sogno frustrato dal risultato elettorale: chiudere Giorgia Meloni sui due lati e insegnarle come si sta al mondo.

La prova dei posti

Ma è anche tempo di regolamento dei conti interni, dove alla prova dei posti da occupare vacilla all’ombra di Silvio Berlusconi l’alleanza preelettorale tra Licia Ronzulli e Antonio Tajani, e con Matteo Salvini che, forte del tracollo elettorale, vuole mettere nell’angolo Giancarlo Giorgetti prima che sia troppo tardi e, ancora, con i un po’ meno potenti ma sempre potenti capi delle correnti Pd che si apprestano a candidarsi a quel che resta del potere, non fosse per le donne che magari stavolta non sono disposte ad accontentarsi del premio di consolazione dei capigruppo della ridotta pattuglia di Camera e Senato.

Il volto della Sfinge

Salvini lo sa che la pace in via Bellerio è effimera, anche se ha saccheggiato più parlamentari di quanto dicano i suoi voti. Umberto Bossi che ha aperto ad alta voce il fronte del Nord preoccupa meno dei silenzi di Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, e con Attilio Fontana alle prese con quel mastino di Letizia Moratti. Dalle parti del Veneto di ministri ne vogliono due, e si sussurra: «Qui quando la faccia ce la mette Matteo dobbiamo accontentarci del 13 per cento, mentre quando c’è da votare per Luca arriviamo al 76». È già abbastanza per capire che se il Capitano non mette nel tascapane ministeri di peso la vita si fa dura. Pare che lui sia andato in visita con questa argomentazione: «Giorgia, al Viminale devi mettermi, io solo quello so fare». In risposta, il volto della Sfinge, al confronto di quello della premier in pectore, sarebbe sembrato un libro aperto. Non ce lo vuole, lì. Ci manca solo che venga nel governo a farle lo stesso giochetto che ha fatto con Luigi Di Maio buonanima. E poi è ancora sotto inchiesta per Open Arms, roba da far più che storcere il naso al Quirinale.

La vignetta

Il compito di fare una sintesi se lo è preso Osho, con una vignetta. Si vede Meloni che si rivolge a Salvini con sguardo materno: «Voi annà all’Agricoltura, che giochi un po’ con le ruspe?». Giorgetti invece. Pare che Matteo lo voglia fuori dal governo, al massimo presidente della Camera, che tanto sarebbe arduo piazzare Roberto Calderoli al Senato, che lì Giorgia ci vuole Ignazio La Russa, per tenere a bada Palazzo Madama, dove i cambi di casacca potrebbero creare problemi. E poi Giulia Bongiorno, che però cavolo potrebbe prendere un ministero più importante del suo Capitano, e se andasse alla Giustizia dovrebbe perderla pure come avvocata personale. E poi forse un posto per Edoardo Rixi, mentre i fedelissimi Stefano Bolognini e Alessandro Morelli sono difficili da far digerire.

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