Berlusconi si offende, Salvini insiste sul Viminale e Meloni fa la Sfinge. Rese dei conti tra i partiti al gran ballo del governo
Il mantra
E poi Forza Italia. Giorgia Meloni che ripete il suo mantra: «Avremo addosso gli occhi di tutti e ogni cosa, anche la più banale, potrà ritorcersi contro di noi, datemi nomi di qualità». Silvio Berlusconi che si offende, «ma come, metà dei tuoi li ho creati io!». La premier in pectore un caffè ad Arcore c’è andata a prenderlo. Due contro uno. Lei da una parte, il Cavaliere con Marta Fascina dall’altra. Voci prive del timbro dell’ufficialità sulle richieste. La Sanità per Licia Ronzulli, Anna Maria Bernini vicepremier, un posto per Maurizio Gasparri, Alberto Baracchini alla Cultura. Insomma, una cosa in famiglia. Un «vedi tu» per Antonio Tajani, riservatamente sospettato di aver pensato solo a sé nel suo incontro con Giorgia, anche se poi non sarà colpa sua se è uno dei pochi che, come ministro degli Esteri, potrebbe reggere il rapporto con le altre Cancellerie. Ignorata a lungo pure Elisabetta Alberti Casellati, che da presidente del Senato e candidata al Quirinale si è ritrovata in un amen relegata per un seggio in Basilicata e solo in zona Cesarini riproposta per un dicastero.
Il segreto di Pulcinella
Che Meloni non voglia Ronzulli alla Sanità è il segreto di Pulcinella. Per lei al massimo, se proprio si dovesse, potrebbero esserci le Pari opportunità, o le Politiche giovanili, ministeri che Licia vede come quando ti scelgono per ultimo, a pari e dispari, per una partita tra ragazzini. Lì c’è pure un doppio ostacolo. Si torna all’effetto tenaglia. Troppa la sua vicinanza con Matteo Salvini, agli occhi di Fratelli d’Italia. E poi ci sono ruggini antiche. Se si riavvolge il nastro e si torna alla sfida per il sindaco di Milano, dominata da Giuseppe Sala contro Luca Bernardo, si incappa in un video. Presentazione del candidato del centrodestra. Meloni non c’è, gli alleati l’hanno appena lasciata a secco sulle nomine Rai. Licia Ronzulli prova a togliere il segnaposto di Giorgia per metterne uno suo. A La Russa si stringe la vena, accenno di rissa: «Non me ne frega un (bip) — le urla — ne ho abbastanza di questa mania di esibirsi, Forza Italia ha già quattro dei suoi in prima fila!»
Le opposizioni
E ancora, giù per i rami, le opposizioni. Magari una vicepresidenza della Camera per la Cinque Stelle Chiara Appendino, un posto per la calendiana Mara Carfagna. Ma è nel Pd che si gioca la partita più complicata. Probabile conferma per Simona Malpezzi come capogruppo al Senato, Debora Serracchiani alla Camera, insidiata però da Anna Ascani e non da Paola De Micheli, che si è candidata a guidare il Pd dopo Enrico Letta. Poi le istituzioni. Dario Franceschini vicepresidente al Senato, Lorenzo Guerini o Andrea Orlando vicepresidenti alla Camera, Guerini in corsa anche per il Copasir dove però vorrebbe andare pure Enrico Borghi. Sembra facile, ma c’è una mucca in corridoio, non si passa, direbbe Pierluigi Bersani. Guarda un po’, sono tutti maschi.
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