Siamo tutti ucraini ma per la pace serve una via

MASSIMO GIANNINI

Siamo tutti ucraini. Consapevoli che la loro guerra è anche la nostra guerra, perché nasce dalla difesa dei principi di libertà e di autodeterminazione dei popoli sui quali questa parte di mondo si è fondata e forgiata nelle tragedie dell’era moderna. Siamo tutti europei. Coscienti che il macellaio di Mosca è la causa di questa mostruosa ecatombe di bambini, di donne, di uomini inermi e innocenti. Che il Grande Dittatore del Cremlino, comunque finisca il conflitto, dovrà rispondere a un Tribunale penale internazionale per i crimini contro l’umanità perpetrati a Bucha a Irpin a Kherson. Siamo tutti occidentali. Convinti che la Russia è ormai una minaccia globale, al di là dell’invasione in Ucraina. Che è giusto e legittimo sostenere anche militarmente la resistenza di quella nazione, tornata suo malgrado terra di mezzo tra Est e Ovest. Che ha ragione Sanna Marin, quando al vertice di Praga, a chi le chiede qual è la soluzione, risponde semplicemente «ce n’è una sola, il ritiro di Putin».

Ci rassicura, tutto questo. Stare dalla parte giusta della Storia. Sapere esattamente qual è il nostro posto su questa Terra. Quali sono i nemici che dobbiamo combattere e gli amici di cui ci dobbiamo fidare. Peccato però che il sorriso sicuro della premier finlandese disarma i cronisti ma non il Tiranno. E peccato che dopo i ripetuti accenni del Cremlino sul possibile ricorso agli armamenti nucleari tattici, adesso persino Joe Biden non può più escludere «un Armageddon atomico», per la prima volta dalla crisi dei missili a Cuba del 1962. Di fronte a tutto questo orrore, a questa drammatica escalation che va ormai ben oltre l’ubriacatura propagandistica dei generali al fronte o la sbornia geostrategica da salotto televisivo.

A questa cinica assuefazione del pensiero e del linguaggio davanti alla morte presente e futura, abbiamo un dovere etico e politico: quello di fermarci. Per respirare, per ragionare.

Dove può portarci questa spirale, a noi che per Costituzione ripudiamo la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali? E fino a che punto consideriamo possibile e utile spingerci, per supportare ormai non più solo la difesa, ma anche l’offesa di un Paese in armi? Non sono interrogativi leciti: sono necessari. Soprattutto alla luce dei fatti di queste ultime ore. Il primo, di venerdì scorso: l’attentato a Darya “Dugina”, figlia dell’ideologo del putinismo Aleksandr Dugin uccisa il 20 agosto alla periferia di Mosca, sarebbe opera dei servizi ucraini. Il secondo, di ieri: l’esplosione che ha distrutto il ponte di Kerch, raccordo tra Russia e Crimea e monumento-simbolo dell’occupazione del 2014, porterebbe la firma degli stessi ucraini. Che, giusto il giorno dopo la festa dei 70 anni dell’autocrate di San Pietroburgo, gli recapitano la rivendicazione con una pennellata di macabra ironia intinta nel mito di Marilyn Monroe: «Buon Compleanno, presidente Putin». Non pago, il consigliere ucraino Mykhailo Podolyak aggiunge: «E questo è solo l’inizio».

A’ la guerre comme à la guerre. Provateci voi, dentro un incubo iniziato il 24 febbraio, a guidare uno Stato sovrano asserragliati in un sottoscala, mentre l’Orso post-sovietico ti aggredisce e ti sbrana, i missili e le bombe distruggono le tue città, i soldati di Dvornikov massacrano la tua gente, i ceceni di Kadyrov stuprano e sgozzano le tue mogli e i tuoi figli. L’atroce mattanza russa sui civili ucraini dura ormai da nove mesi: al confronto, una carica di dinamite sotto l’auto della figlia di un simil-Rasputin convinto che il suo capo sia la reincarnazione di Pietro il Grande, o un camion bomba su un’infrastruttura che suggella un’altra Anschluss illegittima, sono una puntura di spillo. C’è poco da recriminare e da biasimare: è la guerra, stupido, e non ci puoi fare niente. Ma è davvero così? O non è forse il momento che le cancellerie euro-atlantiche aprano un confronto serio con Zelensky, non per accusarlo o isolarlo, ma almeno per capire qual è la sua strategia, e qual è per lui il confine tra protezione e aggressione.

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