Siamo tutti ucraini ma per la pace serve una via
È ovvio che il presidente ucraino combatte questa guerra con i mezzi che ha a disposizione e che ritiene più efficaci. Ma un conto sono le operazioni belliche che il suo esercito effettua (col nostro aiuto) per riconquistare i territori ucraini usurpati dagli invasori. Altro conto sono le missioni che i suoi 007 effettuano oltre i confini, andando a colpire l’Orso russo nella sua tana. Le implicazioni possono essere molto diverse. E poiché (come abbiamo detto) la sua guerra è pure la nostra, quelle implicazioni riguardano anche noi. L’Occidente ha un dovere nei confronti di Zelensky: lo deve sostenere, senza distinzioni pelose. Ma Zelensky ha un impegno nei confronti dell’Occidente: lo deve ascoltare, senza decisioni precipitose. Nella spirale che ci sta risucchiando, a ogni azione ucraina può corrispondere una reazione russa che potrebbe non colpire più soltanto Kiev, ma l’intera Alleanza Atlantica e l’intera comunità internazionale. Di questo il commander in chief ucraino deve tenere conto. A meno che (e non vogliamo crederlo) non pensi di trascinarci tutti nella Terza Guerra Mondiale. Che per altro, forse, è già cominciata. Senza che il pianeta se ne sia reso conto, come va ripetendo da tempo il Papa.
Ecco perché è ora di parlare di pace. Nel momento in cui ci accorgiamo che Putin, ispirato dal suo pantheon neo-imperiale in cui sono assisi Plotnikov e Berdjaev, Il’in e Danilevsky, predica l’apologia della guerra e rivendica il suo “immenso diritto morale” di ricostruire la Santa Madre Russia per proteggerla dall’Anticristo occidentale. Nel momento in cui realizziamo che Vlad The Mad questa “operazione speciale” l’ha probabilmente preparata da anni, convinto come I Demoni di Dostoevskij che “l’importante è la leggenda”. Nel momento in cui il falco Serghei Surovikin assume il comando delle truppe in Ucraina e i suoi Stranamore discutono di armi di distruzione di massa. Proprio in un momento come questo, non bisogna lasciare il monopolio della pace a Bergoglio e al mondo cattolico, oppure a Conte e al microcosmo pentastellato. La pace è un bene universale, non una dote elettorale.
Ha ragione Timothy Garton Ash, che avverte i moderni “panciafichisti” ancora fermi all’insopportabile «né con la Russia-né con la Nato»: non serve che andiate a cercare fascisti tra i governi d’Europa, perché un fascista al potere c’è già e si chiama Putin. Quindi le grandi manifestazioni pacifiste bisognerebbe farle innanzitutto davanti alle ambasciate russe. Ma ha altrettanta ragione Francesco, quando ripete che «la pace va cercata sempre e comunque». E ormai, tra i Grandi della Terra, nessuno la sta più cercando. Ci siamo dimenticati di Kant: «La pace perpetua può essere conseguita soltanto quando anche gli Stati saranno usciti dallo stato di natura… per stipulare un patto che li unisca in una confederazione permanente…». Ci stiamo rassegnando a Nietzsche: «Non conosciamo altri mezzi oltre le guerre mediante i quali si possano comunicare a popoli che vanno infiacchendosi quella rude energia del campo di battaglia e quell’ardore generale nella distruzione organizzata del nemico…».
All’ombra del nucleare che torna, ci sta sfuggendo anche l’idea di «pace provvisoria» di cui scriveva Norberto Bobbio: una «tregua d’armi in attesa di un evento straordinario», quanto è stato straordinario lo scoppio della prima bomba atomica che ha fatto dire agli osservatori più consapevoli che era cominciata una nuova era della storia umana. L’equilibrio del terrore, che ha dominato l’epoca della Guerra Fredda in base alla parità di forza tra Usa-Urss, pare ormai finito. La deterrenza atomica non ha impedito che esplodessero numerose e sanguinose guerre “convenzionali”. E ora, dentro quella più pericolosa perché risveglia i peggiori fantasmi del Novecento, l’uso di armi nucleari non è più escluso. Anche se mettono in questione “il destino dell’uomo” (Karl Jaspers). A questo punto è la notte.
Anche tra Russia e Ucraina servirebbe quel «Terzo per la pace» che invocava lo stesso Bobbio, mentre annotava amareggiato i fallimenti dell’Onu. Quel Defensor pacis che, nella sua funzione più debole, mette in contatto le parti, mentre in quella più forte interviene per farle giungere a un compromesso. «Nell’attuale sistema internazionale questo Terzo non esiste, né se ne profila uno credibile all’orizzonte». Il grande filosofo torinese lo scriveva nel 1989. Trentatré anni dopo, l’orizzonte è sempre più vuoto.
LA STAMPA
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