Per il governo Meloni non ha un piano B (nonostante lo strappo con Berlusconi): ecco perché
Per l’elezione di La Russa, Meloni aveva una soluzione alternativa al blocco di centrodestra, e l’ha usata. Per il governo, invece, né lei né i suoi alleati dispongono di un «piano B». Per questo la leader di Fratelli d’Italia continuerà a esercitare il suo potere per chiarire tutto prima del varo del nuovo esecutivo
Per
l’elezione di Ignazio La Russa a presidente del Senato
, Giorgia Meloni aveva una soluzione alternativa al blocco di centrodestra e l’ha usata.
Per il governo, invece, né la leader di Fratelli d’Italia né i suoi alleati dispongono di un «piano B».
I rapporti di forza in Parlamento sono tali che impediranno
qualsiasi futura alchimia di Palazzo, anticipando di fatto la sorte di
una legislatura che si esaurirà nel progetto a cui sta lavorando Meloni.
«E Giorgia se ne andrebbe a casa piuttosto che farsi ricattare», ha detto ieri La Russa a un esponente di partito.
Proprio il concetto che «Giorgia» ha ripetuto in serata. Il fatto di
ritrovarsi a capo di una maggioranza senza alternative, «per certi versi
contribuirà — secondo un autorevole dirigente di FdI — a far cambiare
atteggiamento anche ai partner europei, abituati alle rotazioni di
premier e di ministri italiani. Che avvengono in media ogni anno e
mezzo».
C’è più di un motivo insomma se la presidente di FdI ha esercitato il suo potere di capo dell’alleanza con Silvio Berlusconi . E continuerà a farlo. Perciò — scommettono rappresentanti della coalizione — «tutti ci dovremo adeguare. E il primo sarà proprio il Cavaliere».
Ecco spiegato perché Meloni — invece di «lasciar posare la polvere» come alcuni suoi consiglieri le avevano suggerito — ha optato per la linea dura con Forza Italia sulla questione dei dicasteri.
È convinta che il chiarimento in maggioranza vada fatto prima del varo del governo, per non trovarsi poi in Consiglio dei ministri a fronteggiare qualche fronda politica mentre infuria la crisi economica.
Così sembrerebbe fallito l’esito della mediazione nella quale si era impegnato Gianni Letta, che ha (ri)stabilito un solido rapporto con Meloni e che in mattinata si era recato da Berlusconi. Il Cavaliere non vuole che l’alleata — nel redigere la squadra — applichi lo stesso metodo adottato ai tempi del governo di Mario Draghi, quando dovette subire la scelta dei ministri di Forza Italia senza potersi opporre. La leader di FdI non intende però derogare al suo mandato.
E Letta si muove tra i due fuochi, scontando i sospetti degli azzurri che non vogliono cedere a Meloni ma contando in queste ore sul sostegno della famiglia di Berlusconi. Una soluzione si troverà, anche perché non esiste un «piano B». Né per lei né per gli altri partiti della coalizione.
È una questione di grammatica politica. Infatti l’errore da «matita blu» commesso dal gruppo di Forza Italia al Senato — sotto la spinta di Gianfranco Micciché — si è tramutato in una sconfitta strategica. E ha scatenato l’ira della premier in pectore, che ha messo una croce sopra i nomi di due senatori azzurri in predicato di diventare ministri: «Visto che a votare per La Russa, oltre Berlusconi, è stata solo Elisabetta Casellati, porto lei al governo. Ma non alla Giustizia».
Per quell’incarico Meloni aveva deciso già prima delle urne: siccome a palazzo Madama i margini di maggioranza sono ristretti, ha candidato l’ex magistrato Carlo Nordio alla Camera.
Sono molte le ragioni che inducono la leader di FdI a non cedere. Tutte legate tra loro. Se punta a ridisegnare la geografia dell’alleanza, assegnandosi il ruolo di perno del futuro centrodestra, deve superare la prova di governo. «La composizione della squadra — spiegava giorni fa il capo dell’Udc Cesa — sarà decisiva perché rappresenterà il biglietto da visita con cui si presenterà al Paese. Mentre i ministri dell’Economia, degli Esteri e della Difesa, saranno il suo biglietto da visita nel contesto internazionale».
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