La trincea di Giorgia Meloni
Annalisa Cuzzocrea
Giorgia Meloni è in cima alle scale, nel cortile di Montecitorio. Appoggiata a una colonna, accanto alla porta che dà sul Transatlantico, fuma nervosa una sigaretta. L’aria è quella di chi non vede l’ora sia finita. «E Berlusconi?», chiede Matteo Salvini, che si aggira per la Camera da ore come un leone in gabbia: il segretario della Lega è un senatore, non ha un ufficio lì, non può entrare in aula. Fa su e giù tra buvette, corridoio, chiostro. Senza pace. Lorenzo Fontana come terza carica dello Stato è l’ennesima scelta che ha imposto al suo partito, ora è lì a controllare che tutto fili liscio. (Per dire la differenza, a Palazzo Madama nel giorno di Ignazio La Russa – ben più a rischio – la premier in pectore, deputata, non c’era. È rimasta ad aspettare nel suo ufficio, al momento giusto si è congratulata con un tweet).
«E Berlusconi?», chiede dunque Salvini dopo che Meloni lo chiama a sé con un cenno della mano. Di primo mattino – sempre nel cortile – aveva detto ai suoi: «Io l’avevo avvisato Silvio, attento che Giorgia ha i numeri, non puoi metterti di traverso». Nell’inedita veste di mediatore, il segretario leghista – che ancora ieri ha chiamato più volte il capo di Forza Italia – cerca di sondare le intenzioni dell’alleata. Che consapevole dei cronisti intorno con l’orecchio teso, dice solo: «Lo sentiamo domani». Poi comincia a parlare di week end, gite fuori porta in cerca di castagne. Passa Francesco Lollobrigida, il cognato compagno di banco in aula, il marito della sorella Arianna anche lei – ieri – eccezionalmente in Transatlantico, e Meloni chiede: «Dove si va per castagne? » . A Cave, si va lì, vicino a Tivoli. E insomma, sarà per i giornalisti troppo vicini, sarà perché non ha voglia di rispondere, la leader di Fratelli d’Italia cambia discorso.
«Anche oggi buona la prima. Andiamo avanti veloci», commenta subito dopo l’elezione di Lorenzo Fontana alla presidenza. Le interessa questo, dare un’idea di rapidità. Come se tutto non fosse bloccato dai veti di una coalizione talmente litigiosa che ogni giorno esplode: giovedì al Senato, sulla mancata partecipazione di Forza Italia all’elezione di La Russa. Ieri alla Camera, sull’immagine che mentre Meloni fuma in cortile comincia a circolare: il foglio che Silvio Berlusconi aveva con sé a Palazzo Madama e che la definiva «supponente, prepotente, arrogante, offensiva».
Guarda tutti da lontano, la premier in pectore. Fin dal mattino, presente ma in disparte. I capannelli più vistosi sono quelli della Lega. Passano tutti a incitare Fontana, prima; a congratularsi con lui, poi. Tra gli altri, in cortile si apparta con Salvini e i suoi Claudio D’Amico: ex deputato, braccio destro di Gianluca Savoini (sotto inchiesta per corruzione internazionale nella vicenda dell’hotel Metropole di Mosca), organizzatore dei viaggi della Lega in Russia e dell’accordo con il partito di Vladimir Putin Russia Unita, oltre che proprio dell’incontro tra il presidente russo e il leader della Lega. Non si sa perché sia lì, se non per la felicità di vedere l’amico Fontana diventare presidente della Camera.
Su questo, sulla vicinanza alla Russia del deputato leghista appena diventato terza carica dello Stato, Meloni glissa, non sa, non risponde. Posizioni omofobe? «Lo hanno detto anche a me perché sono contraria alle adozioni da parte di coppie omosessuali, e non sono omofoba». Idee filorusse? «Se mi preoccupassi di quello che dice l’opposizione non farei il governo». Per resistere alle pressioni di Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni non può permettersi distinguo sulle scelte dell’alleato Salvini. La linea è quindi, fin dal mattino: «Fontana non si discute». Poi se serve c’è il programma, che sulla posizione della coalizione sulla guerra in Ucraina e sui rapporti con la Russia di Putin è chiaro e inequivoco.
Non sarà semplice spiegarlo ai giornali internazionali che già titolano, come il Financial Times, «Il Parlamento italiano elegge come presidente della Camera un euroscettico filo-Putin», ma tant’è, tocca fare una battaglia alla volta. E tocca avere alleati. Se pure Salvini provasse nei confronti di Meloni la stessa rabbia che pare provare il leader di Forza Italia (perché stavolta è lei a comandare, perché lo fa senza cedere su nulla, perché è una donna che gli tiene testa senza alcuna deferenza), il leader della Lega non lo dà a vedere. Si è ritagliato il ruolo di messaggero tra i due. È ormai per molti il ponte con Silvio Berlusconi (a Umberto Bossi che ieri al suo arrivo in sedia a rotelle – sospinto dal figlio Renzo – scattava selfie con chi lo andava a omaggiare, Salvini ha assicurato: «L’altro giorno io e Berlusconi parlavamo di te. Organizziamo un incontro, gli farà piacere»).
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