Il dovere del compromesso

Paolo Guzzanti

Era possibile immaginare il disastro politico a cui abbiamo assistito e a cui ahimè ancora stiamo assistendo? Non nei dettagli, forse, non negli screzi che ieri sono arrivati perfino alla querelle folcloristica sugli appunti del Cavaliere, ma di sicuro era prevedibile e a riprova, senza davvero vantarmene, l’avevo scritto e previsto in un libro, La Maldestra. Avevo tentato di spiegare che l’alleanza di centrodestra rischiava di andare a sbattere contro il primo guard-rail perché le tre forze che la compongono non sono tra loro componibili, ma sono buone al massimo per allearsi su un programma.

Inoltre, Berlusconi è convinto, e chi potrebbe negarlo, che Forza Italia non porti come dote soltanto il numero dei voti, ma anche un suo indispensabile valore aggiunto: quello che può permettere al futuro governo di presentarsi sulla scena nazionale e internazionale non come «di estrema destra» (come seguitano a scrivere tutt’ora i più importanti giornali europei), ma di una destra che è certificata dall’unico partito liberale riconosciuto dal Parlamento Europeo e che rappresenta i valori dei partiti che ricostruirono l’Italia dopo una catastrofica guerra.

All’inizio di questo 2022, nessuno si aspettava che avremmo votato in autunno. Ma il punto fondamentale è che, una volta conosciuti il numero e la forza di ciascuna delle forze dell’alleanza, si sarebbero subito dovuti costruire i criteri comuni per procedere insieme. Così si fa quando si dichiara un’alleanza. Sarebbe stata quindi cosa buona e opportuna che i tre vincitori si sedessero subito al tavolo non solo per dire quanti ministri e sottosegretari voleva ciascuno, ma per sottoscrivere il codice con cui fare le scelte, rispettando i pesi elettorali con tutti gli altri contrappesi che definiscono una politica e rassicurano gli spettatori esterni, specialmente europei.

Se un tale codice fosse stato redatto, non avremmo assistito a quel che abbiamo visto con occhi che ancora bruciano non per la novità, ma a causa del genere di pagliacciata in cui la politica italiana eccelle quando scende al rango delle barzellette. Perché la barzelletta diventa l’unica forma di analisi aperta al pettegolezzo e allo sghignazzo dei labiali e dei social, che hanno sostituito, quanto a nobiltà, le lettere anonime e quelle con richiesta di riscatto.

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