Il centrodestra tra conflitti e pulsioni identitarie


La domanda che emerge è come possa il centrodestra sopravvivere a queste tensioni; se e quanto la logica che ha portato all’elezione dei presidenti di Camera e Senato si applicherà all’esecutivo; se rassicurerà o metterà in allarme l’Europa.

Non si può che aspettare. E sperare che quando Meloni sarà chiamata al Quirinale per ricevere l’incarico, ascolti i consigli del capo dello Stato, Sergio Mattarella. Altrimenti, la prospettiva di esprimere una compagine di alto livello e capace di risultare inclusiva potrebbe emergere come minimo appannata.

Al momento, l’effetto che le scelte del centrodestra ha avuto è stato di radicalizzare il Pd e alimentare ulteriormente l’estremismo del M5S. Forse sarebbe successo comunque, perché la competizione in quello che si definisce campo progressista tende a far slittare tutti su posizioni oltranziste. Certamente, il metodo usato per i vertici delle Camere risucchia il Pd di Enrico Letta verso un ritorno al dialogo con il M5S: la pressione in questa direzione sta crescendo. Non è ancora chiaro, tuttavia, se il Pd riuscirà a evitare un’agenda subalterna a quella grillina.

Da una parte, si punta il dito sul profilo «omofobo e pro Putin» del leghista Fontana. Dall’altra si elude il ruolo dei Cinque Stelle nella caduta di Mario Draghi, all’origine della rottura dell’asse Pd-M5S. E non si sottolineano le prese di posizione del blog di Beppe Grillo, che ha teorizzato «la neutralità tra Russia e Ucraina» come opzione che sarebbe nell’interesse dell’Europa.

Sono contraddizioni che peseranno nell’opposizione e nella stessa maggioranza. Compattezza, omogeneità e unità sono ancora sfuggenti in entrambe.

CORRIERE.IT

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