Quel Pd che resiste a fatica anche nelle regioni rosse
Non è detto, infatti, che chi ha votato Calenda a questa tornata elettorale avrebbe fatto lo stesso se fosse stato alleato con la sinistra. Idem per il Movimento 5 Stelle. Senza contare che è improbabile che un campo largo progressista, che tenga dentro contemporaneamente centristi e grillini, possa vedere mai la luce. Se pure si verificasse un miracolo, non è atteso in tempi brevi, stando alle ultime dichiarazioni dei leader e alle frizioni emerse in Parlamento già in questo esordio di legislatura.
Tornando alla Toscana, il centrodestra si aggiudica sette collegi uninominali su nove per la Camera e tre su quattro per il Senato. I dati, insomma, mostrano come anche questi territori siano diventati “contendibili”. “La ‘zona rossa’ si va restringendo da alcuni anni alla dorsale ad alta densità abitativa dei sistemi urbani che scorrono lungo la via Emilia (da Parma a Rimini), del ravennate e della Toscana, con esclusione di Grosseto, Lucca, Massa Carrara. Rimane una prevalenza del voto a sinistra nelle province settentrionali di Marche e Umbria, così come a Genova e nella Liguria orientale”, spiega a IlGiornale.it Salvatore Vassallo, il direttore dell’Istituto Cattaneo di Bologna, che ha pubblicato diverse analisi sull’argomento.
“Il Pd, preso isolatamente ha tenuto meglio in Emilia-Romagna e Liguria e ha perso qualcosa in Toscana”, conferma l’analista. Ma il calo si può spiegare con il fatto che “dal 2018 ad oggi il partito ha subito due scissioni, prima con Renzi, poi con l’alleanza naufragata con Calenda”. “Se si considera tutta l’area di centrosinistra nel suo complesso, – conclude – si vede che questa è elettoralmente cresciuta in varie parti del Paese e, con riguardo alla zona rossa, proprio lungo la dorsale della via Emilia”. Il Pd, insomma, resiste nelle sue roccaforti, ma a fatica. E senza cercare sponde al centro o a sinistra, fatica ad essere incisivo.
IL GIORNALE
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