Gli anziani sono una risorsa del Paese

di Ferruccio de Bortoli

Il grado di civiltà è tutto nella capacità di preservare la dignità di un anziano fragile o di un malato inguaribile. S arebbe un grave errore se il nuovo esecutivo e il nuovo Parlamento gettassero nel cestino la proposta di legge delega

Le grandi questioni che riguardano il futuro, non immediato, della nostra società suscitano scarso interesse pubblico. Sembrano così lontane nella loro dinamica — in questo caso demografica — da indurre un senso di impotenza o persino di rassegnazione. C’è altro di più urgente. Anche se le sofferenze, le solitudini della popolazione anziana più fragile e debole — quella che ha pagato il conto maggiore, insieme ai giovani, alla pandemia — sono quotidiane. Lenite solo in parte dalla grande e insostituibile opera di molte istituzioni pubbliche e private e dei loro operatori. Un solo raffronto: in Italia abbiamo 1,9 posti letto ogni cento persone sopra i 65 anni, come la Grecia; la Francia è a 5; la media europea è superiore a 3,5. C’è molto da fare. La popolazione invecchia. Le malattie croniche e invalidanti crescono in misura allarmante, specie quelle legate alla demenza senile. Molte famiglie, soprattutto indigenti, non ce la fanno. In proiezione, sarà un autentico dramma sociale.

È passato pressoché inosservato lo schema di legge delega approvato, il 10 ottobre, dall’ultimo Consiglio dei ministri del governo Draghi, in materia di assistenza alle persone fragili e non autosufficienti. Anche se sappiamo che non manca, sull’argomento, una particolare attenzione del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Giorgia Meloni e il premier uscente ne hanno già parlato.

L’auspicio è che quella proposta di legge delega non sia solo un nobile messaggio in bottiglia destinato a disperdersi nei flutti del passaggio di legislatura. Non faccia, per esempio, la fine di quella fiscale (sciaguratamente non approvata dal Senato) che avrebbe aiutato, non poco, il nuovo esecutivo ad alleggerire alcuni carichi tributari e amministrativi. Qui non si tratta di aliquote fiscali ma di vite reali. L’allargarsi delle disuguaglianze si misura drammaticamente dal livello di assistenza offerto agli anziani non autosufficienti. Quando è carente o addirittura non c’è, anche le vite dei familiari più giovani sono ipotecate, se non compromesse. Il grado di civiltà di un Paese è tutto nella capacità di preservare la dignità di un anziano fragile o di un malato inguaribile. Si è cittadini sempre, altrimenti si è scarti.

Nelle prossime settimane si discuterà molto di pensioni e di come scongiurare il ritorno, dal primo gennaio del 2023, alla legge Fornero. Ogni aumento del debito pensionistico ricade sulle prossime generazioni. Affrontare invece, con ragionevole celerità, il tema più complessivo dei concittadini più anziani e fragili, libera in prospettiva tempo e risorse a beneficio dei più giovani. È un atto di responsabilità generazionale. Non mette, a differenza di quota 100 o 102 per le pensioni, anziani e giovani (che pagheranno in futuro) in conflitto. E dunque sarebbe un grave errore se il nuovo esecutivo e il nuovo Parlamento gettassero nel cestino la proposta di legge delega. A livello istituzionale è il frutto dell’indagine degli esperti riuniti dal ministero della Salute e dalla presidenza del Consiglio, guidati dal vescovo Vincenzo Paglia, e dalla commissione del ministero del Lavoro con a capo l’ex ministra Livia Turco. Raccoglie inoltre gran parte dei suggerimenti di 52 organizzazioni assistenziali di varia natura, coordinate da Cristiano Gori, e del Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza. Mai vi era stato, in precedenza, il coinvolgimento di una rete associativa così vasta. La legge delega può e deve essere migliorata ma consegnarla agli archivi della legislatura appena terminata vorrebbe dire dimenticarsi di molti anziani e del destino dei loro familiari.

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