Le ferite non ancora chiuse
Agnese Pini
Il tallone d’Achille di Giorgia Meloni si chiama Europa. È lì, è in Europa, che può sgretolarsi l’immagine del suo nascente governo e del nostro Paese. È inevitabilmente lì, in Europa, che le tensioni internazionali che ricadono su di noi – guerra, crisi energetica, crisi economica – possono essere risolte o al contrario esacerbate. Con tutte le conseguenze del caso. Meloni lo sa, e sotto questa spada di Damocle evidentemente si muove e sceglie le pedine della sua squadra. Mostrando coerenza politica e anche un certo coraggio, come nei numerosi “no” alle richieste per nomine e dicasteri avanzate dai suoi principali alleati: Salvini e soprattutto Berlusconi.
Per questo le parole pronunciate ieri a Berlino dal segretario del Pd Enrico Letta sono state per lei un doppio schiaffo: non solo un attacco politico, ma soprattutto una minaccia reputazionale in un contesto, quello dell’Unione, in cui tanto i media quanto le istituzioni guardano al nostro Paese e alla nuova maggioranza con palpabile diffidenza.
Ha detto il leader Dem, invitato al congresso dei socialisti europei: “Chi ha vinto, invece di riappacificare il Paese, lo sta dividendo”. Il riferimento è alla scelta dei due neo eletti presidenti delle Camere: La Russa e Fontana. L’affondo tocca il tasto più dolente per Meloni: e cioè la difficoltà nel tenere insieme un profilo rassicurante per mercati e partner internazionali e le diverse anime con cui Fratelli d’Italia e alleati devono fare i conti all’interno dei loro stessi partiti. Dalla guerra all’Unione, dalle politiche economiche a quelle legate ai diritti civili.
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