Opposizione nel caos tra ripicche e veleni
Annalisa Cuzzocrea
A volerla raccontare con un’immagine, l’opposizione alla maggioranza più di destra della storia repubblicana, sarebbe questa: Enrico Letta e Giuseppe Conte la settimana scorsa erano nella stessa aula, alla Camera, a pochi banchi di distanza l’uno dall’altro. Li divideva uno spicchio di velluto rosso. E mentre intorno erano tutti baci, strette di mano, pacche sulle spalle, il segretario del Partito democratico e il presidente del Movimento 5 stelle non si sono neanche salutati. Non un ciao, uno sguardo, un cenno. Nulla. Fosse solo una questione personale, non staremmo neanche a parlarne. Ma la questione è invece tutta politica. Basta guardare alla reazione di Pd e M5s ieri dopo le frasi di Silvio Berlusconi sul «dolcissimo» amico Putin, che Forza Italia goffamente prova a smentire, ma che un audio inchioda alla loro verità. Sostiene Enrico Letta, dopo aver letto anche le dichiarazioni del neopresidente della Camera Lorenzo Fontana sulle sanzioni alla Russia («un boomerang per noi») che «la nuova maggioranza sposta l’Italia verso una posizione pericolosa di sempre maggiore ambiguità nei confronti di Mosca». E Giuseppe Conte? Qualsiasi cosa significhi, a domanda sul punto risponde: «Non ero presente e meglio così. Non l’ho letto, ho capito il tono ma non mi pronuncio». Certo, il tema è di quelli che il Pd e i 5 stelle li ha sempre divisi. C’è da sperare che quando si tratterà d’altro, l’abolizione del reddito di cittadinanza, la riforma delle pensioni, la flat tax che favorisce i ricchi, la difesa della legge sull’aborto, i due maggiori partiti di opposizione in Parlamento provino a cercare una voce sola.
Quel che appare certo adesso, però, è che non la vogliono. L’unico accordo che sono stati in grado di ipotizzare è quello sui posti negli uffici di presidenza di Camera e Senato. Un’intesa andata talmente liscia da far infuriare il terzo polo, che reclama per sé una vicepresidenza cui secondo gli altri non ha diritto. Anche perché, sottolineano dentro al Partito democratico, quando è nata Italia Viva, nella scorsa legislatura, Ettore Rosato – eletto vicepresidente di Montecitorio in quota pd – non si è dimesso, lasciando i dem a mani vuote. Ripicche. Veleni. Litigi. Che a giudicare dagli esordi sono solo cominciati. Anche il gruppo di Italia Viva-Azione rischia di durare come un gatto in tangenziale, per citare un film caro a Carlo Calenda (lo ha sceneggiato la sorella). Non solo i due leader non andranno insieme al Quirinale per le consultazioni, ci andrà Calenda con l’ex ministra Teresa Bellanova. Ma ieri, davanti all’invito del Nazareno di un incontro per parlare degli altri posti in ufficio di presidenza – ci sono da decidere i segretari d’aula, i questori – la reazione è stata opposta. La capogruppo in Senato, la renziana Raffaella Paita, ha detto subito: ci siamo! Matteo Richetti, calendiano capogruppo alla Camera, ha risposto: non vogliono parlare di vicepresidenze, basta giochetti!
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