Il Cav e la Donzella, una favola amara
CONCITA DE GREGORIO
Non c’è verso, bisogna sempre parlare di lui. Perché la politica italiana, cari amici stranieri che ci telefonate con la voce rotta dal pianto, dovete chiudere il pezzo e non capite la logica, si spiega così: con le parabole, il Cavaliere e la Donzella, le favole, c’era una volta un re al Cremlino e sono andati tre messaggeri a chiedergli aiutaci tu, l’operetta, c’è sempre una donna svestita nascosta dietro la tenda, cielo mio marito, la farsa, certo. Ma soprattutto – non siamo mica così ridicoli da farci bastare i foglietti che non erano quello mio, prendevo appunti da un altro, i pizzini i giochi delle tre carte funiculì funiculà la pizza buona lo so io dove la fanno, Apicella cantaci ‘na tarantella. No, questo è per l’elettorato “a cui rivolgersi come a un bambino di dieci anni” – regola numero uno – è per intrattenere le massaie al pomeriggio, un tempo davanti alla tv c’era anche la buonanima di mamma Rosa. Soprattutto, dicevo, la politica italiana si deve sempre leggere attraverso la psicoanalisi ma non vi spaventate, niente di impegnativo. È una tragedia psichica in fondo facile da comprendere, perché cova in ciascuno di noi. “Non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me” diceva ormai decenni fa il genio di Gaber e non aveva ancora visto niente, né i barboncini né le mongolfiere né i finti testimoni pure ottuagenari un filo rigidi d’imbarazzo, i colletti di pizzo da collegiale della neo eletta ultima finta moglie, 32 anni, cerchietto in testa come una bambina. Bisogna cominciare da qui. Tra i finti sposi corrono 54 anni. Berlusconi, 86, non porta le donne che potrebbero essergli figlie e nipoti all’altare: le sposa lui. Non deflette, non demorde. È sempre lui il marito, l’amante. Voi capite che il tema della successione – del passaggio di testimone, della rinuncia, della resa alla maestosa cavalcata del tempo – non lo sfiora. Proprio non la concepisce. Ci fu un tempo in cui discusse seriamente con il suo medico anche sindaco di Catania di una pozione capace di assicurare eterna giovinezza. È morto quasi dieci anni fa, Scapagnini: se l’aveva creata doveva essere una dose sola, forse Berlusconi la tiene nella stanza frigo dove conserva anche le casse di Lambrusco che scambia con la vodka di Putin. C’è un peculiare cimitero, in un allegato per amatori della suddetta politica italiana: è il catalogo dei cadaveri dei delfini di Silvio. Nomi ormai dimenticati, Pili il sardo bellino, Angelino Alfano nella stanza comunicante al partito, Fitto Parisi Frattini Toti un pochino Formigoni ma non tanto, per un attimo Moratti poi Carfagna, che ingrata, ora stai a vedere se non cade a un passo dalla Farnesina anche Tajani, i cui tweet disperati sulla “vittoria nei Castelli romani” fanno presagire il peggio. Del resto, la spiegazione fatta da Berlusconi al gruppo alla Camera su come sono andate le cose fra Russa e Ucraina – alla vigilia delle consultazioni al Quirinale, ore 10 di stamani – sono il classico colpo alla nuca. Si scherza ma non tanto, perché il passaggio che abbiamo di fronte è esattamente questo: che lo voglia o no Silvio B. sta per cedere il passo all’erede. La prossima premier del centrodestra sarà Giorgia Meloni. Il precedente – e l’unico – è stato lui. Quindi eccoci, al passaggio di consegne sempre abortito. Eccoci al delfino. Solo che non l’ha scelta lui, l’erede. Non è del suo partito, ha preso il triplo dei suoi voti, lo tratta con sufficienza, dice non mi faccio ricattare. Certo, Anche Rosy Bindi gli disse non sono a sua disposizione, ma fioccarono battute machiste e comunque non era destinata a succedergli. Meloni sì, prenderà il suo posto e lui non la può neppure corteggiare, non la può metaforicamente portare all’altare – nemmeno, al limite si sarebbe adattato, nel ruolo secondario del padre che dà il braccio: lei non lo lascia. Qualcosa è andato storto, ma è tardi. Fra due giorni l’incarico, forse sabato la lista dei ministri. È a lei che deve passare il testimone, e non potrà nemmeno fare uno-due-tre con le dita come fece con Salvini nel 2018, a far intendere sempre alle signore da casa che sì, giurava quello, ma l’agenda l’aveva scritta lui. Così finisce il pasto di Krono. Finisce la favola del principe azzurro, il king maker: l’unico leader che c’è in Europa sono io – ha detto ai quarantacinque deputati del gruppo, in tanti ridevano. Tanti gli dicevano “no meglio se non la racconti, com’è andata con l’Ucraina”, ma l’ha raccontata. Non è che si sia sbagliato, non è che non sapesse che di quarantacinque almeno la metà ma forse più l’avrebbero registrato e fatto girare: lo sapeva. E quindi ha detto questo. Ve lo dico io com’è andata: la guerra l’hanno provocata gli ucraini. È partita la favola. L’accordo del 2014 in Bielorussia, le delegazioni disperate dal Donbass che vanno da Putin a dire l’Ucraina non rispetta gli accordi aiutaci tu, Re Artù che nicchia, ci pensa, poi dice ok adesso metto un governo di persone per bene e di buon senso, in Ucraina, il buon senso non manca mai nelle storie di B., ma poi gli occidentali hanno mandato le armi e quella che doveva essere una guerra di due settimane è diventata una guerra che durerà “duecento e rotti anni”. Fine della quale guerra Silvio B. è sicuro di vedere, grazie alla pozione che custodisce nel frigo del Lambrusco, a fianco della moglie che nascerà nel 2210 ma noi no: noi di certo non la vedremo. Ora. Tutto questo potrebbe anche essere un modo per avere la delega alle telecomunicazioni, cosa che per via dei danè da sola gli interessa. Per avere parola sul ministro di Giustizia, far fuori Tajani che intanto desolatissimo twitta comunque la linea è la mia, in Europa domani a parlare a nome del Paese ci vado io. Si sospetta che le dichiarazioni di Silvio precedano quelle di Tajani nella scaletta dei notiziari nella Fox. Ma la chiave, la vera storia, è sempre l’altra.
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