Così Soumahoro e l’Usb Caruso dettavano legge tra i braccianti

Bianca Leonardi

«Lo scontro nel ghetto è da sempre tra Soumahoro e Caruso»: così riferiscono a Il Giornale gli abitanti di Torretta Antonacci, il ghetto foggiano dove entrambi i protagonisti sembrerebbero aver costruito le proprie carriere. Da una parte Aboubakar Soumahoro, a capo della Lega Braccianti; dall’altra Francesco Saverio Caruso, delegato Usb a Foggia che si occupa – a nome del sindacato – delle questioni legate al Gran Ghetto.

«Gli uomini della Lega Braccianti e dell’Usb ci chiedono soldi per portarci a lavorare e per qualsiasi altra cose, anche per un materasso»: queste le principali accuse rivolte ai due «capi-clan». La loro storia si intreccia proprio all’interno del sindacato, dove Soumahoro ha militato per decenni fino all’abbandono, nel 2020, quando ha deciso di costruire la sua realtà.

Da lì, la guerra: tanto che i fedelissimi del deputato con gli stivali, ex soci della Lega Braccianti, sembrerebbero passati a Usb. Uno su tutti Alpha Barre, che è «l’uomo del ghetto che nel suo capannone ha una cassaforte per tenere i soldi chiesti ai braccianti», ci racconta una persona che vive a Torretta Antonacci da più di 20 anni. E se la storia di Soumahoro è ormai cosa pubblica grazie alla potenza mediatica che negli ultimi anni è riuscito a costruire, quella dell’ex deputato di rifondazione comunista, Caruso, non sembra poi così diversa. Entrambi a fianco dei più deboli, in lotte ideologiche a sostegno degli ultimi. Proprio il rappresentante di Usb salì agli onori della cronaca quando durante il G8 venne accusato – e poi prosciolto – insieme ad altri militanti no global, movimento a cui apparteneva, di associazione sovversiva per aver organizzato gli incidenti durante la manifestazione del 2001. L’anno dopo, nel 2022, fu arrestato su ordine della procura di Cosenza con l’accusa di «sovversione, cospirazione politica e attentato agli organi costituzionali dello Stato». Nonostante questo, nel 2006, venne candidato da Rifondazione comunista – non senza dissenso – e ottenne il mandato alla Camera.

Proprio come successo con Soumahoro (la cui candidatura è stata messa in dubbio da Bonelli), anche Fausto Bertinotti, al tempo, affermò su Caruso che la sua proposta del suo nome era stata una «mossa poco felice». Ad accomunare i due casi anche l’estrema spettacolarizzazione in nome della libertà e della giustizia: Soumahoro incatenato davanti a Montecitorio «per far sentire la voce dei braccianti» e Caruso barricato – nel 2006 – all’interno di un centro di permanenza temporanea in provincia di Crotone.

Ed anche sulla gestione dei fondi i due capi di Torretta Antonacci sembrano seguire lo stesso modus operandi. Aboubakar inchiodato per quelle donazioni sospette che «non sono mai arrivate qui», come affermano i braccianti del ghetto, e Caruso condannato a restituire un’ingente somma di denaro per aver ricevuto un finanziamento pubblico che doveva servire per la costituzione di un network e di un giornale dei centri sociali campani, ma che poi, come accertato dalle indagini, è stato usato per scopi personali.

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