Draghi: «L’Italia ha dimostrato di farcela. Serve coesione e dialogo»
L’intervista all’ex premier: «Tante le sfide raccolte e vinte: noi cresciuti più di Francia e Germania. Continuare a proteggere i più fragili. Putin? Solo lui può fermare i massacri»
Mario Draghi mi accoglie sorridente, sfoggiando il senso dell’humour che gli italiani hanno imparato a conoscere nelle sue conferenze stampa da premier. Fuori da Palazzo Chigi sta sperimentando — dice — «un po’ di tempo libero. Faccio il nonno, ho quattro nipoti. E mi godo il diritto dei nonni di poter scegliere che cosa fare. Anche per questo ho chiarito che non sono interessato a incarichi politici o istituzionali, né in Italia né all’estero».
Qualcuno ha detto che lei abbia cercato questa libertà, accelerando la caduta del suo governo…
«Se guardo alle sfide raccolte e vinte in soli venti mesi di
governo, c’è da sorridere a chi ha detto che me ne volessi andare,
spaventato dall’ipotetico abisso di una recessione che fino a oggi non
ha trovato riscontro nei dati. Ero stato chiamato a fare, dopo una vita,
un mestiere per me nuovo e l’ho fatto al meglio delle mie capacità.
Sarei dunque rimasto volentieri per completare il lavoro, se mi fosse
stato consentito».
Che Italia trovò, quando è entrato a Palazzo Chigi nel febbraio del 2021? E che Italia ha lasciato ai suoi successori?
«A febbraio 2021 la situazione era molto difficile. La pandemia uccideva centinaia di persone ogni giorno,
la campagna di vaccinazione stentava a decollare, l’economia era ferma,
c’era grande incertezza sulla riapertura delle scuole. Poi, quando si
era cominciata a vedere la fine del tunnel, scoppiò la guerra. Adesso
siamo in un contesto internazionale complicato, di incertezza
geopolitica e di rallentamento economico globale. Tuttavia l’Italia ha
mostrato di sapercela fare. Quest’anno cresceremo di quasi il 4%, più di Francia e Germania,
dopo i sette trimestri di crescita consecutivi durante il mio governo.
Il debito pubblico in questi due anni è calato come mai nel dopoguerra, e
l’Italia è l’unico grande Paese europeo che, negli ultimi anni, è
riuscito ad aumentare le proprie quote di mercato nell’export
internazionale».
Ma dal punto di vista sociale, come si può costruire un Paese più equo?
«I dati dell’Istat ci dicono che quest’anno le nostre politiche
sulle famiglie hanno ridotto la disuguaglianza — misurata dall’indice di
Gini — dal 30,4% al 29,6% e il rischio povertà dal 18,6% al 16,8%.
L’Ufficio parlamentare di Bilancio ha stimato che le nostre misure di
sostegno hanno praticamente azzerato l’impatto del carovita sulle
famiglie più povere, con forti effetti redistributivi. All’inizio del
2021, il tasso di disoccupazione in Italia era al 10,2%. A ottobre era sceso al 7,8%
e il tasso di occupazione ha raggiunto il 60,5%, un record storico: è
un dato molto importante perché la fonte maggiore di diseguaglianza è la
disoccupazione. Questi sono i risultati dell’agenda sociale ed
economica del governo che ho avuto l’onore di presiedere. Eravamo anche
vicini all’introduzione del salario minimo e alla riforma del reddito di
cittadinanza, per farlo funzionare meglio. Ma questo è il passato, ora
occorre guardare avanti».
E ora, dove sta andando l’economia globale?
«L’inflazione ha messo le banche centrali davanti a una sfida che
non fronteggiavano da molto tempo. Preservare la stabilità dei prezzi è
essenziale, perché un’inflazione alta e variabile aumenta l’incertezza
economica e sociale, danneggia i più poveri, chi ha un reddito fisso e
in ultima analisi mina la crescita. In Europa la causa primaria
dell’alto tasso d’inflazione, che sta velocemente contagiando il resto
dell’economia, è il prezzo dell’energia, che la Russia ha fatto salire
cominciando a diminuire deliberatamente le forniture di gas mesi prima
dell’invasione dell’Ucraina. C’è molto che gli Stati europei possono
fare insieme e a livello nazionale su questo fronte, mentre l’inazione
europea può portare a frammentazioni lungo linee imprevedibili.
L’accordo su un tetto al prezzo del gas
raggiunto nei giorni scorsi è un risultato importante, per cui l’Italia
si è battuta da mesi: adesso va applicato in modo efficace. È poi
prioritario che i governi continuino a proteggere i più fragili: a
questo proposito sarebbero opportune nuove iniziative europee, che
ricalchino il fondo comune di sostegno al mercato del lavoro adottato
durante la pandemia».
Il suo governo si era dato la missione di ridurre la dipendenza energetica dell’Italia dalla Russia. Crede che ci sia riuscito?
«L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha dimostrato
l’imprudenza della politica energetica italiana degli anni recenti,
frutto di scelte che restano in alcuni casi ancora da chiarire.
All’inizio di quest’anno, l’Italia importava oltre il 40% del gas dalla
Russia — una dipendenza che metteva a rischio il nostro benessere e ci
rendeva vulnerabili ai ricatti di Mosca. Nel giro di pochi mesi
dall’inizio della guerra abbiamo raggiunto accordi con molti altri
fornitori, in numero maggiore di ogni altro Paese europeo, e abbiamo
semplificato in modo significativo le procedure per installare nuovi
impianti di energie rinnovabili: le richieste per nuovi allacciamenti
nel 2022 sono state pari a 11 GW, quasi cinque volte la potenza
installata nei due anni precedenti. A oggi, le importazioni dalla Russia
sono appena un quarto rispetto a inizio anno e le forniture sono
regolari. La Commissione Europea dice che siamo un esempio sul fronte
della diversificazione — un risultato di cui l’Italia deve essere
orgogliosa».
Qual è stata la decisione che le è costato di più prendere?
«Di decisioni difficili ne abbiamo prese molte: penso alla scelta
di attuare tra i primi in Europa il green pass e l’obbligo vaccinale.
Sapevo che erano limitazioni delle libertà individuali, ma erano
necessarie per garantire a tutti il diritto alla salute, soprattutto ai
più fragili. Mi fa piacere vedere oggi che la Corte Costituzionale
concordi in pieno con l’impostazione del governo. Altrettanto difficile è
stato scegliere ad aprile dello scorso anno di riaprire le scuole: mi
hanno paragonato a Bolsonaro, hanno detto che avremmo causato una
catastrofe sanitaria. Ma l’epidemia è rimasta sotto controllo e i
ragazzi sono tornati a scuola in modo continuativo. Infine, il sostegno
immediato e convinto all’Ucraina: i rischi di una ritorsione russa erano
evidenti, ma non potevamo girarci dall’altra parte davanti a chi aveva
riportato la guerra in Europa».
Si è data una spiegazione del perché l’hanno fatta cadere?
«Il governo si poggiava sul consenso di una vasta coalizione, che
aveva deciso di mettere da parte le proprie differenze per permettere
all’Italia di superare un periodo di emergenza. Non avevo dunque un mio
partito o una mia base parlamentare. A un certo punto, la volontà dei partiti di trovare compromessi è venuta meno, anche per l’avvicinarsi della scadenza naturale della legislatura».
Come andarono le cose?
«Con il passare dei mesi, la maggioranza che sosteneva il governo
si era andata sfaldando e diversi partiti si andavano dissociando da
decisioni già prese in Parlamento o in Consiglio dei ministri. Il Movimento 5 Stelle era sempre più contrario al sostegno militare all’Ucraina,
nonostante avesse inizialmente appoggiato questa posizione in
Parlamento insieme a tutte le altre forze politiche, e nonostante questa
fosse la linea concordata con i nostri alleati in sede europea, G7 e
Nato. Forza Italia e Lega erano contrarie ad aspetti di alcune
importanti riforme — fisco e concorrenza — a cui era stato dato il via
libera in Consiglio dei ministri. Lega e Movimento Cinque Stelle
chiedevano inoltre a gran voce uno scostamento di bilancio nonostante —
come stiamo vedendo — l’economia e l’occupazione andassero bene».
Ci racconti il «giorno del giudizio» in Senato, che portò alle sue dimissioni.
«Nei pochi giorni che intercorsero tra la decisione del Movimento
5 Stelle di non votare la fiducia sul “decreto aiuti” e il dibattito
sulla fiducia in Senato l’ondata di messaggi, come quello dei sindaci,
perché restassi al governo mi avevano convinto a cercare una soluzione.
Sono ancora profondamente grato per questi appelli, come per tutto il
sostegno che ho ricevuto durante il mio incarico. Ma le posizioni dei
partiti erano ormai inconciliabili».
In che modo?
«Ad esempio, il centrodestra era disponibile ad andare avanti,
purché i ministri Cinque Stelle uscissero dal governo e fossero
sostituiti da loro esponenti. Tuttavia, il Pd non era disponibile a far
parte di quello che sarebbe diventato nei fatti un governo di
centrodestra. Inoltre, sin dalle consultazioni che precedettero la
formazione del governo, avevo chiarito che per me sarebbe stato
impossibile guidare un governo di unità nazionale senza il partito di
maggioranza relativa in Parlamento, il Movimento 5 Stelle».
La questione dei rapporti con la Russia ha avuto un peso nell’apertura della crisi?
«Non so dire che ruolo abbia giocato la guerra all’Ucraina. Noto
però che oggi il M5S è contrario a proseguire nel sostegno militare
all’Ucraina, nonostante questo sia stato decisivo per permettere a Kiev
di riprendere una porzione significativa del Paese che era stata
occupata dai russi».
Pensa che sia possibile in tempi ragionevoli una pace in Ucraina?
«Le prospettive di pace sono difficili anche se molto è cambiato
in quest’ultimo periodo: i canali di comunicazione sono molto più aperti
e la Cina sembra essere più presente nella costruzione di una
trattativa. Tuttavia il Cremlino ha dimostrato finora di non volere la
pace. Il mio governo ha sempre cercato la pace, e ha provato ad
agevolare possibili mediazioni: penso ad esempio a quanto fatto sul
grano bloccato nei porti del Mar Nero. Ma è soltanto il presidente Putin
che può porre fine a questi massacri».
Lei ha sostenuto l’Ucraina con più energia di altri leader occidentali. Perché?
«Abbiamo appoggiato l’Ucraina subito, con convinzione, insieme
agli altri alleati del G7, dell’Ue, della Nato e nel farlo abbiamo
mostrato che l’Italia può essere un Paese guida in Europa, come merita.
Sull’Ucraina il governo ha agito nel solco di un mandato pieno da parte
del Parlamento: tutti i principali partiti, anche la prima forza di opposizione, ci hanno sostenuto nell’invio di armi a Kiev,
nel sostegno umanitario ai rifugiati e a chi è restato in Ucraina,
nell’imposizione di sanzioni contro la Russia, nella ricerca di un
negoziato, ove possibile. La posizione dell’Italia sulla guerra è stata
probabilmente più forte e decisa di quanto si aspettassero molti
osservatori. Ero consapevole dei forti legami passati tra l’Italia e
Mosca, ma non potevamo restare impassibili davanti a un’aggressione
immotivata e a sistematiche violazioni del diritto internazionale e dei
diritti umani. In Russia probabilmente contavano su una nostra
ambiguità, che invece non c’è stata, e questo spiega la rabbiosa e
scomposta reazione di alcuni diplomatici russi, che se la sono presa
anche con la libera stampa in Italia».
Come giudica il governo che ha preso il posto del suo?
«Non spetta a me giudicare il governo, soprattutto non dopo così poco tempo. Giorgia Meloni ha dimostrato di essere una leader abile e ha avuto un forte mandato elettorale.
Occorre stare attenti a che non si crei di nuovo un clima
internazionale negativo nei confronti dell’Italia. Mantenere saldo
l’ancoraggio all’Europa è il modo migliore per moltiplicare il nostro
peso internazionale. Penso anche che si debba sempre mantenere aperto il
confronto con le parti sociali, con gli enti territoriali, con il terzo
settore. Un confronto ispirato al dialogo, all’ascolto, alla
disponibilità».
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