Lo scontro culturale sul fisco
Negli altri Paesi il legame non è mai stato spezzato. Ad esempio, in Germania le mutue sanitarie e i regimi previdenziali sono sempre stati tenuti a mantenere un equilibrio fra entrate e uscite: trasferimenti pubblici solo in casi eccezionali. I lavoratori autonomi tedeschi possono scegliere se iscriversi al regime pubblico oppure sottoscrivere un’assicurazione privata. Quest’ ultima tende a costare di più. Perciò la maggioranza degli autonomi partecipa al sistema pubblico e paga di buon grado i contributi, consapevole che si tratti di un «affare» rispetto al privato.
Una quindicina di anni fa, Tommaso Padoa Schioppa — allora ministro dell’Economia — disse in una intervista televisiva che le tasse sono «una cosa bellissima, un modo civilissimo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili quali istruzione, sicurezza, ambiente e salute». Una valutazione ineccepibile dal punto di vista etico e finanziario. Ma se i contribuenti non visualizzano concretamente il nesso fra imposte e benefici, la pretesa di fruire dei secondi finisce per prescindere completamente dal versamento delle prime.
L’evasione sottrae al fisco italiano circa 100 miliardi di euro l’anno, quasi il doppio di quanto costano scuola, università e ricerca. Gli orientamenti culturali socialmente dannosi sono duri a morire. Un governo che si propone di essere responsabile non può disinteressarsi del problema. Né tantomeno strizzare gli occhi a chi evade o a chi riceve prestazioni gratuite non dovute.
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