Se non discute il Pd sparisce
PAOLO CREPET
Una sensazione imbarazzante si nasconde nel dramma che affonda il pur necessario dibattito all’interno del Partito democratico. Un’ingessatura, quasi formale, ossessionata e rincorsa da statistiche impietose che inquadrano una realtà in lenta, quasi fatale, discesa. Nanni Moretti in “Palombella rossa” ha illustrato mirabilmente la metafora della fine di un’era, quella del Pci, che aveva stravolto le emozioni di milioni di persone, più di quelle che avevano votato o simpatizzato per le idee che quel partito rappresentava.
Oggi i numeri fanno pensare che la “crisi” sia meno rilevante e molti che vengono, direttamente o no, da quella tradizione culturale reagiscono con egoismo, convinti che ciò che si discute riguardi una minoranza residuale. L’indifferenza è una cifra individuale e collettiva di quanto sta accadendo. La stessa discussione dentro e attorno al Pd lo dimostra: l’elegante passo indietro di Maurizio de Giovanni da un organo importante di quel partito è avvenuto senza la giusta eco, quasi in sordina. Omettere per sopravvivere, agevolare la rimozione per annientare memoria e responsabilità. Come la vicenda del Qatargate, vissuta con evidente irritazione come se occorresse rimarcare, a ogni emplosione derubricata a cronaca, che non si devono disturbare i manovratori.
Ridurre la scena incomoda, affermare che il dolo sia sempre di altri, di pochi. Come se l’eccezione non parlasse metaforicamente della norma. Anche la morte di un intellettuale come Alberto Asor Rosa appare scialbata dall’attuale oratoria dirigenziale: figura evidentemente scomoda per non essere dirottata dal presente. “Parole, parole, parole” la rubrica dell’epistemologo Paolo Fabbri, amico e collega di Umberto Eco, ospitata nell’Unità di vent’anni fa, intuiva il rischio: il parlar generico cela il terrore che qualcosa possa dividere, detesta il confronto non formale. Prevale l’idea di un cerchio di gesso che unisce attorno al nulla. Si scappa dalle antitesi rifugiandosi nel linguaggio conformistico. Invece la realtà preme e chiede implacabilmente alla politica.
Che cosa pensa la futura dirigenza del Pd della sfida energetica: ha ragione Gavino Ledda a prospettare come un incubo il progetto di erigere centinaia di pale eoliche alte 300 metri tutt’attorno alla Sardegna? Come si tutelano il paesaggio e la bellezza? Come trasformare l’abominio per il terrore omicida degli ayatollah iraniani in pratica politica che non si limiti alle sacrosante proteste di piazza a fianco delle donne e dei giovani martiri della libertà? Che dicono i candidati degli affari che il nostro paese fa con l’Iran (quest’anno l’export è aumentato del 16%)? Come valutare il rapporto tra digitale e educazione? Vanno bene anche insegnanti avatar e adolescenti con visore? E il disagio di decine di migliaia di giovani e di genitori come si affronta? Basta il “bonus psicologo” o occorre una nuova rete di servizi competenti?
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