Così si è logorato il rapporto tra governo e Parlamento

Questo produce una scissione tra modello parlamentare (il governo è figlio del Parlamento e risponde ad esso) e realtà (il governo cerca nel Paese la sua investitura). Quindi, il dialogo principale non è quello che si svolge nel Parlamento, i rapporti governo-Parlamento vengono sottovalutati, la formula «governo comitato direttivo della maggioranza parlamentare» non funziona più, il legame si fragilizza, viene sottovalutato il rapporto con il Parlamento, per mantenere il quale non basta un apposito ministro, per quanto capace sia. Ne è prova proprio il dibattito sul bilancio di previsione dello Stato, che una volta si svolgeva in una apposita lunga sessione, nel corso della quale ciascun ministro doveva illustrare la propria «tabella» di spese.

Questi fattori di crisi del parlamentarismo classico vanno di pari passo con altre tre componenti. I partiti, come tramite tra società e governo, sono vacui (forse con la sola eccezione proprio di Fratelli d’Italia, che ha conservato molti tratti di un vero partito-associazione-organizzazione): non promuovono congressi, hanno deboli strutture periferiche, il dibattito interno è inesistente, hanno abdicato alla funzione di educare alla politica, rinunciando anche, da tempo, al compito di selezionare la classe dirigente. Le designazioni dei candidati e la formazione delle liste elettorali sono opera dei segretari dei partiti e della ristretta cerchia che li circonda. Sono loro che provvedono a indicare gli eleggibili, destinandoli a collegi «sicuri», per cui i parlamentari, più che scelti dal popolo, sono nominati, salvo conferma elettiva. Il governo assorbe sempre più la funzione legislativa, grazie al ricorso ai decreti legge (sono già dieci quelli approvati dal governo Meloni in due mesi), lasciando al Parlamento un compito di legislatore interstiziale (compito in sostanza amministrativo) ed eventuale (a causa del monocameralismo alternato: infatti, al Senato quest’anno spetta solo ratificare il bilancio di previsione 2023).

Una ultima conferma di questa diagnosi sta nell’uso, invalso da anni, per cui il governo, nel presentare il bilancio, dove sono segnate le destinazioni di spesa, lascia una quota libera da allocazioni, per soddisfare proposte parlamentari di domiciliazione della spesa. Si tratta di una prassi che sfiora la legittimità costituzionale e che dimostra che il governo cerca in altri modi di «conquistare» l’appoggio parlamentare, coinvolgendo anche le opposizioni, perché queste non facciano il «filibustering», cioè l’ostruzionismo.

Vedo, in conclusione, nelle vicende di queste ultime settimane il segno dell’accentuarsi di una tendenza che comporta una trasformazione radicale. Governo e Parlamento divengono due parti che guardano in direzioni diverse. Il legame tra di loro si indebolisce e i punti di snodo tra politica e sistema politico si spostano fuori dalle Camere.

CORRIERE.IT

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