Covid, prove di retromarcia: scattano i primi interventi sull’obbligo delle mascherine
Paolo Russo
ROMA. Mentre la maggioranza cancella ogni restrizione anti-Covid votando nel decreto rave il congelamento fino al 30 giugno delle multe ai No Vax e l’uscita dalla quarantena senza tampone per i positivi anche se con i sintomi, il ministro della salute, Orazio Schillaci, inizia a ingranare la retromarcia.
Ieri la firma apposta all’ordinanza che proroga fino al 30 aprile l’obbligo di indossare la mascherina in ospedali, Rsa, ambulatori medici e studi dei medici di famiglia. A breve anche la circolare che fornirà alle Regioni le indicazioni in caso di ripresa dei contagi, suggerendo l’uso massiccio delle mascherine.
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Ad ore poi il ministro firmerà la circolare che corregge un po’ il tiro rispetto al liberi tutti del decreto rave che entrerà in vigore il 1° gennaio, imponendo l’obbligo di indossare le Ffp2, nei luoghi al chiuso o in caso di assembramenti, ai positivi in uscita dall’isolamento domiciliare senza test. L’obbligo di mascherina varrà peraltro anche per chi sintomi non ne ha. Una precauzione in più rispetto a chi, soprattutto in FdI e Lega, aveva cercato di far credere che il Covid fosse oramai alle spalle una volta per tutte, permettendo anche ai positivi con tosse e mal di gola di andarsene in giro senza aver fatto un tampone di controllo. Una voglia di normalizzazione che oggi deve però fare i conti con «la tempesta perfetta» – così l’ha definita Schillaci nella sua informativa al Senato – che si è scatenata in Cina con la decisione di abbandonare improvvisamente la politica del “Covid zero” perseguita fino a ieri.
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I super esperti del ministero stanno in queste ore analizzando la situazione in stretto contatto con il ministro e l’impressione è che ci si affidi più alla natura non troppo malevola del virus, che non alla capacità di individuare per tempo eventuali nuove e più pericolose varianti. Un’ipotesi che costringerebbe probabilmente il governo a ripristinare parte delle restrizioni, ma che è data per improbabile dagli stessi super esperti. A spiegare perché, a La Stampa, è Gianni Rezza, il direttore del dipartimento di prevenzione del dicastero.
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