Le democrazie “resilienti” e l’anno zero delle autocrazie
Negli Stati Uniti Joe Biden ha retto l’urto trumpiano alle elezioni di medio termine, mobilitando i democratici e anche una parte dei repubblicani a difesa dei diritti fondamentali, sotto attacco dopo il quasi-golpe di Capitol Hill e dopo la sentenza della Corte Suprema sull’aborto. In Gran Bretagna, caduti i brexiteers iper-populisti alla Boris Johnson e Liz Truss, è arrivato a Downing Street un primo ministro “quasi” normale come Suniak. In Germania l’ondivaga coalizione rossoverde guidata dal timido Scholz ha infine ceduto sulla parziale mutualizzazione del debito e sulla fissazione di un tetto mobile al prezzo del gas. In Francia, almeno alle presidenziali, Macron ha respinto l’assalto di un Front National più insidioso, perché pronto a mascherare con una vena di apparente moderatismo il suo imprinting lepenista. In Italia la stessa Giorgia Meloni vincitrice indiscussa alle elezioni del 25 settembre ha ceduto al “vincolo esterno” in politica estera e in politica economica, offrendo totale sostegno alla campagna di aiuti militari all’Ucraina e assicurando pieno rispetto dei saldi contabili sulla legge di bilancio. Certo, in politica interna la Sorella d’Italia non riesce a esorcizzare i demoni della tradizione post-fascista, anti-europeista e anti-sistema che popolano il suo immaginario politico. Da cripto-NoVax mai dichiarata, si limita a consigliare il vaccino «solo agli anziani e ai fragili», mentre tutti gli altri «si rivolgano al loro medico di famiglia»: come se lei fosse una donna qualunque, e non il presidente del Consiglio cui spetta l’indirizzo delle politiche sanitarie. Da ex militante del Fronte della Gioventù, si ostina a difendere il Msi «come forza democratica e repubblicana» sempre ostile alla violenza: come se il leader di quel partito, Giorgio Almirante, non fosse stato persino fisicamente un fiancheggiatore delle aggressioni squadriste contro i comunisti nel ’68 e non fosse scritto nelle sentenze il contributo missino alla stagione delle stragi di Stato nei primi anni ‘70. Ma insomma, per quanto malmessa, la democrazia italiana regge l’urto della destra post-missina. Non si vedono camicie nere alle porte della Capitale: sulla manovra economica abbiamo visto tutt’al più qualche “Mancia su Roma”.
Di fronte alla resilienza dell’Occidente, i suoi nemici soffrono. Alla lunga, come la ragione per il Galileo di Brecht, anche la libertà esercita sugli uomini un fascino al quale non sanno a resistere. Nella Russia putinista, dove il regime nasconde la verità, non conosciamo gli effetti di questo fenomeno: sappiamo però che la macchina bellica è in panne e quella industriale è in affanno. Nell’Iran di Khomeini e Khamenei fiorisce nel dolore e nel sangue la primavera delle donne che si strappano il velo e si ribellano al giogo dei guardiani della Rivoluzione, contestando a viso aperto e al prezzo quotidiano della vita la teocrazia degli Ayatollah: il coraggio di quelle ragazze è meraviglioso e contagioso, le proteste scuotono una dittatura che dura dal 1979 e dilagano ovunque tra gli studenti, i commercianti, la gente comune stanca della Sharia. Nell’Afghanistan dei Talebani accade lo stesso miracolo, il folle divieto di frequentare l’università o di comprare schede Sim per i cellulari spinge altre donne a scendere in piazza, da Kabul a Herat, e a sfidare la frusta dei Mullah. Persino la Cina, l’Impero dove non tramonta mai il sole, conosce le sue ombre: Xi Jinping si è fatto incoronare per la terza volta al vertice del Partito comunista, è ormai più di Mao il Capo supremo permanente della nazione, ma sta pagando un costo altissimo al piano zero-Covid, tra la caduta del Pil che cresce “solo” del 6% e la rabbia dei cinesi reclusi nei condomini-lager delle megalopoli.
Paradossalmente, in questa fine d’anno le autocrazie patiscono più delle democrazie. E mentre le democrazie affrontano le crisi cercando di sciogliere i nodi con la pazienza e la fatica della rappresentanza e del consenso, le autocrazie i nodi li tagliano con la spada, conculcando diritti e reprimendo dissensi. Se serve, sparando in faccia o nei genitali per strada, uccidendo bambini ai posti di blocco, impiccando giovani sulla forca. Tutto questo getta una luce sinistra sui mesi che verranno. La virtù delle democrazie più resilienti si accompagna al dramma delle autocrazie sempre più intolleranti. Il cinico Putin prepara la sua devastante campagna d’inverno contro la capitale ucraina. Il presidente Raisi, non pago dei 508 figli dell’Iran già caduti sul campo, annuncia che «i contestatori saranno puniti senza misericordia». Il sultano turco Recep Erdogan, travolto da un carovita galoppante, si prepara ad affrontare le elezioni rafforzando la persecuzione degli oppositori, a partire dai curdi. Bibi Netanyahu, per sfuggire al suo processo per corruzione, forma l’esecutivo più estremista della storia d’Israele, imbarcando l’ultradestra anti-araba e anti-gay. L’Indonesia ha appena varato un codice penale che impone l’ortodossia islamica, punisce il sesso fuori dal matrimonio e bandisce il free-spech in politica. Nonostante la sconfitta di Jair Bolsonaro in Brasile, nuove democrature minacciano l’America Latina.
Il nuovo anno vedrà un mondo ancora più spaccato e polarizzato, e un Occidente ancora più isolato e accerchiato. È sempre l’Economist a ricordare che alle Nazioni Unite, nell’ultimo voto di condanna contro la sporca guerra russa, ben 35 nazioni si sono astenute. Questa frattura geostrategica aumenterà fatalmente i rischi di conflitto, su scala globale e regionale. L’America e l’Europa dovranno dimostrarsi all’altezza: serviranno classi dirigenti responsabili e popoli consapevoli. Anche perché nel frattempo, oltre al virus che rialza la testa, morderanno recessione e inflazione: arriveremo a un tasso medio del 9%, con picchi di aumento del 7 negli Usa e del 10 in Germania, dove questi livelli non si registravano dal 1951. Ci aspetta un tempo avventuroso e forse anche pericoloso. Dovremo avere ancora più cura, di noi stessi, della nostra umanità, della nostra civiltà. Imperfetta, difettosa, incoerente. Ma ogni volta che ci penso, non mi viene altro da dire se non la solita frase di Churchill: la democrazia è davvero la peggior forma di governo, ad eccezione di tutte le altre. Buon anno e buona vita a tutti.
LA STAMPA
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