Zaia-Crisanti, la bufera delle intercettazioni e il caso dei test rapidi: ecco cosa sta succedendo

LAURA BERLINGHIERI

 «È un anno che prendiamo la mira a questo, sono qua a rompermi i coglioni da 16 mesi, stiamo per portarlo allo schianto, adesso questo qua fa il salvatore della patria e io faccio la parte del mona cattivo». Il presidente veneto Luca Zaia è al telefono con Roberto Toniolo, direttore di Azienda Zero, braccio operativo sanitario della Regione. Si riferisce ad Andrea Crisanti, l’ormai ex professore di Microbiologia all’Università di Padova, fresco di dimissioni. L’intercettazione è stata fatta ascoltare ieri sera, in una puntata di Report dedicata allo scontro tra il presidente veneto e quello che fu il suo primo consulente per la pandemia. Frasi che sono parte di un dossier nutrito di conversazioni telefoniche tra Zaia, Toniolo, Roberto Rigoli (il medico nominato a capo delle Microbiologie venete, al posto di Crisanti), Massimo Clementi (direttore del laboratorio di Microbiologia e Virologia del San Raffaele di Milano) e due docenti padovani.
Un passo indietro, all’ondata più aggressiva della pandemia per il Veneto. Nella Regione guidata da Zaia, era la stagione dei test rapidi per lo screening. Il Veneto fu capofila di un appalto da 148 milioni di euro per acquistarne 200 mila. Peccato che i prodotti in questione, stando a uno studio pubblicato da Crisanti su Nature, non fossero affidabili. E, anzi, lasciassero dietro sé una scia di 3 “falsi negativi” su 10. È anche emerso che la richiesta della maxicommessa non poggiava su una sperimentazione scientifica, come invece attestato da Rigoli: a febbraio la gup padovana Maria Luisa Materia dovrà decidere del suo rinvio a giudizio. Formulazione che muove da un esposto presentato da Crisanti. Fu questo che portò la Regione a comunicare di avere denunciato il professore padovano, scatenando la reazione del Senato accademico, che preparò una mozione sulla libertà della ricerca.

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