Il popolo di Benedetto XVI: tre ore in fila per l’addio al Papa emerito
Elena Stancanelli
Un gruppo di ragazzi e ragazze di Reggio Emilia si interroga su come piazzare il selfie su Instagram. Sono venuti a Roma in vacanza, hanno girato tutta la città da tre giorni, sono allegri, giovani. Ci siamo consultati per capire se valeva la pena fare la fila, ci hanno detto che per arrivare fino davanti al feretro del Papa ci vogliono due o tre ore. Abbiamo deciso che è troppo. Peccato, dice un ragazza, sarebbe stato bello: è un avvenimento storico, una cosa da ricordare. Quella volta che eravamo a Roma ed è morto il Papa e tizio stava ancora con tizia, e tizia non aveva ancora due gemelli… quelle cose che quando sei vecchio ti fa piacere averle fatte. Esserci o non esserci.
A piazza San Pietro stanno montando le postazioni per le televisioni, sistemano le ultime eleganti transenne di legno verde. I preparativi per il funerale si svolgono con discrezione, mentre i fedeli scorrono. Il cerimoniale sarà diverso da quello che una tradizione millenaria prevede per un tradizionale Papa? Cosa prevede l’etichetta quando a morire è il Papa emerito, l’altro Papa? Ci sarà la stessa copertura internazionale della stampa? Per adesso si aggirano tra i due lati di scorrimento di via della Conciliazione pochi corrispondenti.
Si riconoscono perché sono eleganti, le donne hanno il trucco rifatto, gli uomini portano la cravatta. Alcuni sfoggiano il pass, l’accredito ufficiale grazie al quale potranno muoversi con agilità. Brandiscono il microfono e si piantano aggressivi, delimitano il territorio, anche se intorno a loro lo spazio è ancora vuoto. Ma conservano il ricordo delle celebrazioni per la morte di Giovanni Paolo II: incontenibili, infinite, l’intero quartiere occupato per una settimana da una fiumana di gente che non si riusciva a fendere in nessun modo. Quindi, per garantirsi una buona visuale tra tre giorni, già sgomitano, per precauzione.
Intorno a loro la folla eterogenea che non ti aspetti. Molte suore, certo, e preti, ma anche molti ragazzi e ragazze giovani, alcuni dei quali sono venuti da soli, e un numero impressionante di famiglie con bambini. Passeggini, carrozzine, creature addormentate in braccio o disperate, sedute per terra. Da qui l’Italia non sembra affatto un paese in crisi demografica permanente. Ma a guardare bene, di italiani non ce ne sono molti. In fila, oggi, ci sono soprattutto stranieri. Turisti di tutte le lingue, molti dei quali sembrano capitati un po’ per caso. Testimoni casuali di un avvenimento storico, si sono trasformati in diligenti spettatori. L’evento.
Per accedere alla piazza è previsto un sistema di code successive, a ognuna delle quali, come se davvero si camminasse verso una qualche saggezza, si deve abbandonare qualcosa alle spalle. Nella prima l’acqua. Decine e decine di poliziotti ripetono per ore la stessa frase: non si può portare nessun liquido dentro la piazza. Fatevi questa bella bevuta prima di entrare, dice qualcun altro, che fa bene. Tutto, sempre, in italiano. “One moment please”, unico mantra internazionale. Ma i turisti sono docili, e abituati, e capiscono. Chissà cosa ne faranno poi di quelle pile di bottigliette di plastica sequestrate che si accumulano nel colonnato.
Nella seconda ci sono i metal detector, uguali a quelli per i controlli negli aeroporti. Vegliati da altri poliziotti che pigramente distribuiscono le cassette di plastica che scorrono sui tapis roulants con borse e telefoni da monitorare. Anche loro hanno cestini della spazzatura nei quali buttano quanto è stato respinto dalla censura della macchina. Liberati da ogni peso, raggiunto il centro della piazza, si offre davanti ai nostri occhi un intrigo di code di rara complessità: non si capisce dove inizino e se davvero finiscano dentro la chiesa. L’unica cosa che si può fare è avere fede e accodarsi a quella che ci sembra scorra più rapida.
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