Covid in Cina, le vere cifre: si temono 1,7 milioni di morti in 4 mesi
di Paolo Salom
La situazione Covid in Cina, dopo la cancellazione delle restrizioni, oggi sui social rimbalza l’allarme: «Pechino è deserta e anche io ho paura ad uscire». I Paesi occidentali temono l’arrivo di nuove varianti dall’Oriente
La data che tutti ricordano, in Cina, è il 7 dicembre dell’anno appena terminato, quando il governo ha annunciato le «dieci nuove regole» sul virus: di fatto l’inizio del «liberi tutti» dopo tre anni di politica «zero Covid» e, soprattutto, lockdown continui quanto improvvisi. Nel giro di pochi giorni, sull’intero territorio della Repubblica Popolare tutte le restrizioni in vigore — inclusa la quarantena per i positivi nei «lebbrosari» istituiti ovunque — sono state cancellate.
La situazione
La vita ha ripreso il suo corso normale? Meno di un mese più tardi, tutto si
può dire tranne che la Cina sia tornata a una situazione vicina all’epoca pre-pandemia. Vediamo quali sono i dati disponibili considerando che l’opacità delle autorità cinesi nel diffondere statistiche sulla diffusione della malattia nel Paese ha suscitato non poche proteste e preoccupazioni a livello internazionale.
Innanzitutto, nonostante il silenzio del regime, scorrendo i social cinesi — per primo Weibo, il Twitter locale — si scopre che in pochi giorni dalla fine di lockdown e tracciamento, i casi di infezione sono aumentati esponenzialmente, mettendo in crisi il sistema sanitario nazionale. Ma i numeri? A dir poco scarne le cifre ufficiali da Pechino: avendo «sconfitto la malattia», nessuna informazione a riguardo è apparsa più «necessaria». Eppure qualcosa è trapelato: mentre alcuni responsabili cinesi avanzavano l’ipotesi di circa «4 mila nuovi casi giornalieri», per lo più asintomatici, gli esperti internazionali hanno offerto una cifra più verosimile, ovvero un milione di nuovi casi al giorno, considerando la popolazione totale di un miliardo e 400 milioni. Soprattutto, sono trapelati racconti su corsie ospedaliere vicine al collasso e bare accatastate negli obitori in attesa di essere smistate.
Forse è per questo che i cinesi hanno preferito evitare il più possibile uscite e contatti non necessari, nonostante la fine dei lockdown. «Pechino è deserta — scrive per esempio un utente su Weibo —. Potrei uscire ma, dico la verità, ho paura». Altri hanno criticato chi a novembre ha manifestato in piazza contro le chiusure, accusandoli «di non aver compreso quali sarebbero state le conseguenze delle loro azioni» in un Paese privo di adeguate strutture sanitarie. In verità, sembra che nei primi venti giorni dalla fine della politica «zero Covid», almeno 250 milioni di persone si sarebbero ammalate in Cina (una su sei). Secondo alcuni ricercatori dell’Università di Hong Kong, un milione di cittadini potrebbe morire a causa del virus «entro la fine dell’inverno». Altri dati suggeriscono proiezioni drammatiche: 1,8 milioni di nuovi casi e 11 mila decessi al giorno, con un possibile traguardo di 1,7 milioni di vittime ad aprile. Uno scenario davvero terribile.
A questo punto, i timori dei Paesi occidentali riguardo il possibile arrivo di nuove varianti dall’Oriente appare tutt’altro che peregrino. Ma, almeno su questo fronte, sembra che si possa stare relativamente tranquilli. L’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, segue — anche in maniera discreta — la situazione sul terreno e, sulla scorta delle sequenze fornite dagli scienziati cinesi — Pechino avrebbe condiviso nell’ultimo mese 384 campioni di virus — varianti e sottovarianti sono le stesse in circolo da noi, con prevalenza del tipo Omicron.
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