Virus e libertà, i cari prezzi pagati dai regimi
È al tempo stesso spaventoso e
rassicurante il clamoroso fallimento cinese nella gestione della
pandemia. È spaventoso per le conseguenze sanitarie: quel fallimento sta
facendo ammalare milioni di cinesi e mette tutto il resto del mondo a
rischio di una nuova ondata pandemica. È invece rassicurante per due
motivi. Il primo è
geo-politico. I teorici dell’inevitabile tramonto dell’Occidente forse si sbagliano.
Forse la Cina non riuscirà a diventare, nemmeno fra qualche decennio,
una superpotenza così forte da poter davvero tenere testa agli Stati
Uniti. Né, come hanno previsto alcuni, la Cina tornerà presto ad essere,
come era nel Seicento e nel Settecento (prima che iniziasse la
Rivoluzione industriale in Gran Bretagna), il Paese più ricco e prospero
del globo. L’autocrazia ha un prezzo. Il prezzo è l’eccesso di rigidità
che impedisce ai governanti di fronteggiare sfide impreviste con
pragmatismo e capacità di correggere, in corso d’opera, gli errori.
Il secondo motivo è che il fallimento cinese dimostra urbi et orbi la superiorità delle società aperte e democratiche rispetto alle autocrazie. Una superiorità molto concreta, non astratta o ideologica: è impietoso il confronto fra il modo efficace — una volta superata la prima fase di disorientamento e di sbandamento — con cui il mondo occidentale ha saputo fronteggiare la pandemia e il fallimento cinese. Fallimento che i cinesi, a dispetto di ogni evidenza, si ostinano a negare.
Come mostrano anche le proteste delle autorità cinesi contro quei Paesi che, come l’Italia, sottopongono a controllo sanitario i viaggiatori in arrivo dalla Cina. Nonché il loro rifiuto di accettare i vaccini occidentali offerti dalla Ue.
Hanno una cosa in comune la mala gestione cinese dell’emergenza Covid e l’incapacità russa di sconfiggere l’Ucraina. Pur con le loro grandi differenze le autocrazie cinese e russa sono accomunate dalla incapacità/impossibilità di comprendere quale potente risorsa sia la libertà individuale, quale forza essa sprigioni e con quali benefici effetti per i gruppi umani in cui essa è sufficientemente tutelata. I paralleli storici sono sempre arditi ma si può dire che Putin sia incorso in un errore simile a quello commesso, all’inizio del Quinto secolo avanti Cristo, dal potente impero persiano quando invase la Grecia: venne sconfitto perché sottovalutò quanta energia potessero accumulare e spendere in battaglia gli uomini liberi delle città greche. Per le stesse ragioni, Putin ha sottovalutato gli ucraini. Nonché gli occidentali, ivi compresi i pacifici europei, consapevoli, fin dall’inizio del conflitto, del fatto che sostenendo l’Ucraina stanno proteggendo le proprie libertà.
Che le autocrazie non comprendano quali conseguenze benefiche per la collettività sia in grado di generare la libertà individuale è normale, scontato. Ma che dire di tutti quegli occidentali che pur da sempre abituati a godere delle libertà che le nostre società assicurano anche a loro, tuttavia le disprezzano o comunque non ne comprendono i vantaggi? Da dove nasce questa specie di blocco mentale? I nemici occidentali delle libertà occidentali, per lo più, non dicono oggi, come dicevano un tempo, che le democrazie liberali rappresentino il male. Ma, proprio come allora, la loro bestia nera è sempre il mercato. Come se, senza mercato, possano sussistere società aperta, democrazia, libertà individuali. Puntano il dito contro i «fallimenti del mercato» (che certamente, periodicamente, si verificano) ma vogliono curarli a colpi di Stato, espandendo il ruolo e la presenza dello Stato. Fingono di non sapere che i «fallimenti dello Stato» (da Pechino a Mosca, da Teheran a Caracas, e in tanti altri posti) provocano conseguenze infinitamente più gravi, più devastanti, e durature. Anche lasciando da parte i casi più drammatici ed evidenti, per limitarci a un esempio di casa nostra, quanto è servito fin qui l’eccesso di statualità che da sempre affligge l’economia del Mezzogiorno d’Italia per curarne i mali?
Dietro l’ostilità per il mercato si intravvede la diffidenza per la libertà individuale e per il mondo «caotico» che, apparentemente, essa alimenta. Un caos da curare, secondo certi medici, con dosi massicce di statualità, sostituendo il comando statale (inevitabilmente di pochi) alla libertà di azione dei tanti. Grazie a quella libertà d’azione le società aperte occidentali hanno un dinamismo che manca ad altre società e, in più, i loro sistemi democratici hanno la capacità di correggere gli errori e gli effetti perversi che le azioni dei tanti possono provocare.
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