Padre Georg e il bacio alla bara di Ratzinger: «Distruggerò le sue carte private. Francesco mi ha scioccato»
di Virginia Piccolillo
Il libro del segretario particolare di Benedetto XVI: «Il suo successore fece di me un prefetto dimezzato, nacquero due tifoserie sui pontefici»
Si è avvicinato lentamente. Ha aiutato a sistemare il Vangelo sulla bara. Si è inginocchiato. E, prima di andar via, ha baciato il legno di cipresso
.
Lo ha dato così monsignor Georg Gänswein l’ultimo saluto a Joseph Aloisius Ratzinger: per tutti il Papa emerito, per lui l’uomo con cui ha condiviso le amarezze della vita dopo il ritiro.
Lui, che nel lontano 2003 era stato scelto come segretario personale
dall’allora cardinal Ratzinger,diventa ora la «famiglia» del Papa emerito assieme alle quattro memores domini
che ieri, in prima fila, visibilmente commosse, hanno presenziato alla
cerimonia fino alla parte più privata della tumulazione.
Ma Gänswein era anche il detentore dei suoi segreti che ora nel libro in uscita Nient’altro che la Verità (Piemme) annuncia di voler, in parte, distruggere: «La fine è segnata». «I fogli privati di ogni tipo devono essere distrutti. Questo vale senza eccezioni e senza scappatoie», gli avrebbe ordinato il papa emerito.
Aggiungendo «precise istruzioni, con indicazioni di consegna che mi sento in coscienza obbligato a rispettare, relative alla sua biblioteca, ai manoscritti dei suoi libri, alla documentazione relativa al Concilio e alla corrispondenza».
Il cardinale esclude che fra questi ci sia anche un dossier su Emanuela Orlandi: «Non è mai esistito».
E ora? Gänswein si definisce un «prefetto dimezzato»
alludendo al congedo
ricevuto da Papa Bergoglio: «Mi disse: lei rimane prefetto ma da domani non torni al lavoro». Rivela il vano tentativo di Ratzinger di intercedere in suo favore. E la battuta del Papa emerito: «Penso che Papa Francesco non si fidi più di me e desideri che lei mi faccia da custode…».
E se adesso appare sempre di più come punto di riferimento per la corrente conservatrice,
quella più in contrasto con Papa Francesco, lui stesso descrive questo
scenario: il problema, racconta nel libro, non è stato «tanto quello
della coesistenza dei due papi, uno regnante e uno emerito, quanto la nascita e lo sviluppo di due tifoserie».
Col tempo, dice, «ci si rese conto sempre di più che effettivamente c’erano due visioni della Chiesa» e che «queste due tifoserie» creavano una «tensione» spesso fondandosi su affermazioni o atteggiamenti di Francesco e Benedetto «talvolta con invenzioni».
Una faglia che si allarga a ogni
dichiarazione di padre Georg: l’ultima sul «cuore spezzato» di Ratzinger
per lo stop di Francesco alla messa in latino. E si fa più profonda
anche grazie a blog e siti. Fra questi quello descritto in sintonia con
Gänswein è Silere non possum che ieri titolava: «Saltano gli altarini sul non detto di questi anni».
Rimproverava a Bergoglio di aver «sempre temuto» il predecessore e aver
voluto per lui «un funerale come ogni altro cardinale». E precisava che
«nell’ovile cattolico ci sono anche quelli che non vogliono una chiesa
alla “volemose bene”, ma una seria istituzione di Cristo che vuole la
salvezza dell’anima».
Nel libro padre Georg ripercorre
le tappe di quel crescendo di incomprensioni. A partire dal «no» di Francesco all’Appartamento papale.
«Di solito dormo come un sasso. Ma nel pensare all’Appartamento non
ho chiuso occhio», gli disse Bergoglio. E a un gruppo di studenti delle
scuole gesuite spiegò: «Per me è un problema di personalità.
Ho bisogno di vivere tra la gente e se vivessi solo, forse un po’
isolato, non mi farebbe bene». Gänswein stesso – nel libro intervista
scritto con Saverio Gaeta – riferisce di aver sintetizzato a un
professore che gli chiese come mai non andasse a vivere lì con: «Motivi psichiatrici».
Ricorda come lui provò a far notare che «per tutti quelli che passavano
di sera davanti alla Basilica vaticana era un punto di riferimento la luce accesa nell’Appartamento pontificio e che ci sarebbe stata sicuramente nostalgia se si fosse modificata la residenza». «Però ebbi l’impressione che le migliaia di chilometri di distanza da Roma non lo avevano reso partecipe di tale sensibilità», conclude.
In un altro passo dell’intervista
, assicura che fra i due Papi il rapporto era
«affettuoso», con scambi di vino e dulce de leche
argentini e dolci tirolesi delle memores e limoncello.
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