Quell’odio tra i vicini che si uccidono in ruspa

Paolo Crepet

Una mia conoscente, bravissima illustratrice inglese, aveva avuto un’idea fantastica: disegnare una grande pianta dell’Europa dove erano riprodotte e, ovviamente, amplificate le case principali della sua vita. Come una lente d’ingrandimento aveva amplificato stanze e mobilio, una mappa mentale che raccontava di lei in maniera fantasiosa e reale.

Casa è identità, non solo dettaglio catastale. La casa è il luogo della nostra infanzia, della crescita, delle feste e dei funerali. Contiene l’essenziale del viaggio interiore di ciascuno, parallelepipedo fisico dell’anima. Non a caso fin dalla notte dei tempi quando un regime voleva condannare una persona rea di qualche misfatto, soprattutto se di ordine morale, e prima di arrivare alla pena capitale, veniva decisa la demolizione della casa ove dimorava, a volte anche entrambe le cose. Accade ancor oggi in Iran o in Afghanistan. Distruggere, dare fuoco a una casa per liberarsi dell’immondo. Se quel sito viene cancellato, forse anche quell’anima e il ricordo di essa lo saranno e vano il suo ricordo.

La scena madre si compie alla vigilia dell’ultimo giorno di festa, l’Epifania, pochi chilometri dal borgo storico di Arezzo. Due uomini litigano da tempo. Immagino che il confronto sia iniziato con uno screzio per qualche motivo futile, poi però le occasioni si moltiplicano perché abitano a poca distanza. Gli incontri diventano sfide, le parole montano come flutti, si passa alle imprecazioni e alle minacce. Immagino che qualcuno dei parenti o amici abbia tentato di dissuadere i duellanti, farli ragionare. Ma ci sono parole – quelle che si dicono e si ascoltano, ma non si sanno elaborare – che scavano e diventano micce cui si pensa di notte e di giorno, tarli demolitori che non lasciano scampo al buon senso, un’onta da lavare definitivamente. L’ira si fa fisica fino a immaginare la distruzione dell’altro. La vecchia casa restaurata con sacrificio e dedizione è il simbolo che uno vuole ferire a morte, l’altro difendere a ogni costo, anche con la vita altrui.

È ora di cena, si prepara l’attesa per i bambini, forse ci sarà chi prepara la calza da appendere in cucina con carbone e dolcetti. Da qualche parte forse ma non lì, perché la sfida torna e si fa feroce. Un’ultima invettiva, poi il silenzio lacerato da un rumore sordo. L’enorme ruspa gialla entra nel buio umido di una serata di gennaio, avanza decisa, travolge auto per poi entrare nella facciata di pietra del casale del nemico. Immagino il senso di orrore di chi non riesce a scappare e vede la grande lama d’acciaio penetrare la loro intimità. Un fucile, uno sparo forse più d’uno, per l’uomo seduto alla guida del mostro giallo non c’è scampo.

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