Putin: negoziati o guerra totale. Il dilemma del presidente russo, sempre più solo e confuso


Nello spazio di poche frasi, Markov mette insieme due soluzioni che più diverse non si potrebbe. L’alfa e l’omega, il negoziato e la guerra totale. Per quanto opposte, sono due strade che il suo vecchio capo potrebbe percorrere nei prossimi mesi. Le analisi degli esperti anglosassoni insistono su una sorta di gestione della sconfitta da parte del Cremlino, evidenziando i rischi di un crollo improvviso dello zar, che potrebbe dare inizio a una fase di instabilità simile a quella dei primi anni Novanta. I politologi russi di opposizione, per quanto ostili allo zar, sono più cauti. E vedono ben poche alternative all’avvitamento della guerra su se stessa, che ormai è quasi una necessità per Putin e i suoi alleati.

Come spesso accade, è una questione di tempo e di opportunità politiche. Nel prossimo autunno comincerà la campagna elettorale per le presidenziali, che dovrebbero tenersi nel marzo del 2024. Abbas Gallyamov, che fu primo autore dei discorsi di Putin quando quest’ultimo era portato in palmo di mano dai liberali russi, afferma che il sostegno massiccio della società allo zar sarebbe impossibile senza una vittoria militare. «Ma se la guerra dovesse continuare ancora a lungo, ci sarebbe lo stesso il rischio di una morte politica, perché lo scontento della gente aumenterà in maniera esponenziale. A quel punto, gli uomini della forza, i siloviki sui quali si regge l’attuale verticale del potere, cominceranno a guardarsi intorno».

Le porte che conducono a una fine presentabile delle ostilità si stanno chiudendo. Anche per questo l’inviolabilità dei nuovi confini nati dalla recente annessione dei territori ucraini è considerata un dogma sul quale non è lecito discutere, come ha detto Putin di recente. «Sente sul collo il fiato degli ultranazionalisti, ai quali dà voce l’onnipresente Prigozhin della Brigata Wagner», dice Ilya Grashenkov, fino al 2020 direttore del Centro russo per lo sviluppo delle Politiche regionali, poi giubilato. «Già oggi c’è un nervosismo evidente. Le élite capiscono che potrebbe cominciare la gara per il potere tra i funzionari e oligarchi vicini al presidente. Con il peggioramento sempre più marcato della situazione sociale potrebbe ritrovare la voce anche l’economia. Figurarsi se la campagna elettorale dovesse cominciare all’insegna di una pace simile a una sconfitta».

La foto del presidente che partecipa in totale solitudine alla funzione religiosa per il Natale ortodosso, nella Cattedrale dell’Annunciazione completamente vuota, è l’unica cosa da tenere a mente quando si disegnano scenari futuri. Quell’isolamento è reale. Nella testa di Putin c’è solo Putin. Il 2023 ci dirà se stiamo assistendo a una ultima recita, oppure se lo zar riuscirà ancora a rimanere sulla scena. Anche senza un vero e proprio piano. Anche sluchaino, in modo casuale. Come succede a chi non è più del tutto padrone del proprio destino.

CORRIERE.IT

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