L’elezione drammatica di McCarthy ci consegna un’America più divisa

Il risultato di questa polarizzazione, sostiene Eurasia, ha cambiato anche il senso della politica: «L’animosità fra rossi e blu è in crescita ormai da decenni. Ma oggi i due terzi degli americani vede gli oppositori non solo come in gente che ha torto, ma anche come disonesti, immorali, e una minaccia al Paese. E la convinzione che minacce e violenza sono politicamente giustificate è aumentata fra i membri di entrambi i partiti – anche se l’aumento maggiore è fra i Repubblicani. La propensione americana a decidere il dibattito politico con soluzioni non democratiche farà aumentare il rischio di proteste su larga scala e atti di violenza politica, sia pur non sistematica».

Lo sconcerto di fronte all’intensità dello scontro avvenuto nei giorni scorsi in Congresso all’interno dello stesso schieramento si capisce meglio inserendolo in questo “umore” del paese. Tuttavia, il caso della combattuta elezione dello Speaker McCarthey, offre anche un’ulteriore lettura possibile di quello che si muove nella politica americana.

Il quotidiano Politico opportunamente ricorda nella edizione di ieri che «le elezioni “rubate” che hanno avvelenato la politica americana avvennero nel 1984», anno in cui per la prima volta un democratico, il leader della Maggioranza Dem Jim Wright, contestò nel corso della cerimonia di giuramento dei nuovi eletti, la vittoria di un Repubblicano, Rick McIntyre, dell’Indiana. Il caso si trascinò a lungo, finì male per i repubblicani, e segnò una frattura di umiliazione e rabbia che avrebbe segnato una intera generazione di Conservatori, divenuti poi molto prominenti, come Newt Gingrich, Dick Cheney, e Leon Panetta. Un’altra frattura rilevante avviene nel 2000 quando la elezione di George Bush Junior viene contestata dal Democratico Al Gore che chiede la riconta delle schede, che non venne accettata legalmente, portando all’elezione di Bush per soli 537 voti. Va detto che in quel caso, da ambienti Clintoniani trapelò un dissenso sulla iniziativa di Gore.

Insomma, negare la libertà e correttezza delle elezioni, negli anni recenti è diventata la bandiera di un mondo popolare e politico incline a umori anti-sistema. Donald Trump ha fatto di questo umore la base della sua fortuna, e non a caso non ha mai accettato la sua ultima sconfitta, denunciando frode elettorale. Quella “frode” che ha poi animato e mobilitato l’assalto del 6 gennaio 2021.

Il cerchio potrebbe chiudersi qui. E invece quell’assalto ha portato a una nuova rottura, che si è manifestata, stavolta, dentro al partito Repubblicano. Il dissenso di 20 deputati su il voto per McCarthy ci riporta alle Midterm, come dicevamo all’inizio, a quel voto che è stato una profonda delusione del partito repubblicano, che attendeva una vittoria ampia.

La mezza sconfitta è stata attribuita dal corpo maggioritario del partito a Donald Trump, e ai suoi metodi distruttivi. In quell’appuntamento elettorale la distanza fra Repubblicani si fece pubblica, lo scontro visibile, così come i candidati di entrambe le parti. Trump non ha vinto, e la maggioranza fra i Repubblicani è cambiata.

Dicemmo allora che questo scontro così aperto dentro un partito in difficoltà era la prova di una forza capace di rigenerarsi nel corso degli eventi, insomma una prova di forza della democrazia che ancora anima i partiti in America.

Il voto combattuto di questi giorni nasce da quel cambio di maggioranza: i venti uomini e donne che si sono opposti fino all’ultimo a McCarthy, erano trumpiani in origine ma oggi diventati qualcosa di nuovo – radicali come Trump, ma senza di lui, anzi contro di lui. L’ex Presidente che ha cercato di convincerli a votare il nominato, non è stato ascoltato.

E questa è la nuova svolta in atto: anche senza l’ex Presidente la radicalità della destra non si spegne. Notizia non rassicurante per la conflittualità interna agli Usa. Eppure il modo con cui questa radicalità si è espressa, combattendo apertamente nell’emiciclo del Congresso, trattando apertamente, ottenendo richieste che hanno a che fare con il riconoscimento della propria presenza di minoranza nel Congresso, è una frattura si ma giocata con correttezza e a carte scoperte. Con una soluzione rimasta sempre dentro le regole istituzionali.

Difficile non dire che la strada percorsa non sia stata anche una prova di democrazia.

LA STAMPA

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