Emanuela Orlandi: tombe vuote e depistaggi, i misteri del caso riaperto dal Vaticano
Già, perché la vera cifra della vicenda
Orlandi, paradossalmente, più ci si allontana dai fatti più sembra
emergere e ricondurre alle storie peggiori dell’Italia delle trame. Le
domande centrali, da quell’estate 1983 scandita da comunicati
all’apparenza deliranti, in fondo sono rimaste sempre le stesse. Cosa impedisce la verità?
Tirando il filo da un fatto di cronaca, a quali segreti inconfessabili si potrebbe arrivare?
E ancora: quale fu il movente dell’azione dei rapitori che, attirandole in un tranello, tolsero ai loro affetti Emanuela e Mirella?
Terrorismo internazionale nell’ambito della Guerra fredda (con l’obiettivo di far ritrattare Agca dopo le accuse di complicità a Est), ricatto legato al dissesto della casse papali (scandalo Ior-Ambrosiano) oppure torbidi giri sessuali?
Una risposta in controluce viene dall’analisi delle due inchieste sul caso Orlandi-Gregori. La prima (1983-1997), iniziata all’indomani del mancato ritorno a casa e conclusa ben 14 anni dopo, puntò sugli indizi emersi: le rivendicazioni (con alcune prove di possesso degli ostaggi), la richiesta di «scambio» con Alì Agca, le telefonate in Vaticano di un uomo, forse straniero, ribattezzato l’«Amerikano».
Il Papa polacco prese sul serio l’accaduto: Giovanni Paolo II rivolse addirittura 8 appelli per le ragazze, mentre il presidente Pertini arrivò a preparare una bozza del provvedimento di grazia per il turco, in un clima di grande tensione, con addosso gli occhi degli 007 dell’Est e dell’Ovest.
Più si andava avanti, però, più il groviglio diventò inestricabile.
Il tempo cura le ferite? Non degli Orlandi né dei Gregori, sempre in attesa. E così, dal 2008, con la seconda inchiesta centrata sulla partecipazione della banda della Magliana (grazie alle rivelazioni di Sabrina Minardi), il giallo tornò a decollare.
L’«indegna» sepoltura del boss De Pedis a Sant’Apollinare, d’altra parte, gettava il sospetto su certe collusioni. Le stesse raccontate da Marco Accetti, l’uomo che nel 2013 ha consegnato il flauto riconosciuto dalla famiglia come quello di Emanuela e messo a verbale le sue verità sui codici usati dagli ideatori del piano (laici criminali, tonache dissidenti, 007 deviati) per esercitare ricatti e condizionare la politica di Wojtyla. A cominciare dal 158, il numero “passante” per ottenere la linea diretta con la Segreteria di Stato (anagramma di 5-81, mese e anno dell’attentato al Papa di due anni prima), per arrivare ad “Aliz” (anagramma incompleto della parola “Lazio”), codice usato per rimandare al calciatore Bruno Giordano, la cui ex moglie Sabrina Minardi, era all’epoca amante del boss della banda della Magliana De Pedis. Misteri, depistaggi, nuove chiavi di lettura.
La seconda inchiesta, condotta dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, fu archiviata nel 2015 su impulso del procuratore Giuseppe Pignatone, a conclusione di uno scontro senza molti precedenti a Palazzo di Giustizia. Poi, con decreto del 3 ottobre 2019 firmato da papa Francesco, lo stesso Pignatone è stato nominato presidente del Tribunale vaticano. E siamo così tornati dentro le Sacre mura, dove da oggi si riprenderà a indagare.
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