Adesso al Paese è necessaria una classe dirigente neutrale
Si dovrebbe superare il circolo vizioso per cui ogni parte politica, quando va al governo, porta i suoi uomini
Tremano gli alti burocrati. Il ministro della Difesa, il 28 dicembre scorso, ha dichiarato al Messaggero che occorre usare il «machete» «contro chi nelle amministrazioni pubbliche si è contraddistinto per la capacità di dire no e di perdere tempo». È poi ritornato, il 4 gennaio, sul tema, parlando a La Repubblica e affermando che «ognuno si sceglierà i propri collaboratori, come hanno fatto tutti». Due giorni dopo, sul Corriere della Sera, ha lamentato la «non funzionalità di un sistema i cui tempi, le cui procedure, i cui vincoli rendono infinitamente più difficile per tutti operare a ogni livello, rispetto a qualsiasi altro Paese moderno». Il presidente del Consiglio, nella conferenza stampa di fine anno, ha annunciato «una forte riforma della legge Bassanini».
Con gli alti burocrati, tremano anche i livelli inferiori, perché la precarietà scende per i rami e i cattivi esempi vengono imitati. Molti hanno vissuto il passaggio dell’ultimo decennio del secolo scorso, quando le privatizzazioni hanno fatto cessare la lottizzazione nelle banche pubbliche e nel sistema delle partecipazioni statali, e la fame di posti della politica si è rivolta alla pubblica amministrazione.
Di qui una moltiplicazione del «sistema delle spoglie», che — come un virus — si è diffuso e differenziato in tante altre parti del corpo amministrativo.
Le norme che hanno introdotto il sistema definito delle spoglie risalgono all’ultimo decennio del secolo scorso, ma sono ora contenute in una legge di vent’anni fa, secondo la quale gli incarichi più alti dell’amministrazione, quelli di segretario generale e di capo dipartimento dei ministeri e quelli di direttore delle agenzie, incluse quelle fiscali, cessano decorsi 90 giorni dal voto sulla fiducia del governo. È stato così creato un automatismo. La durata dell’incarico corrisponde a quella del mandato di chi ha nominato: simul stabunt, simul cadent . Si tratta di una normativa utilizzata da tutti i governi degli ultimi trent’anni, ispirata dalla prima ondata di populismo in Italia e dall’idea che la burocrazia remasse contro la politica. È evidente che, unita a governi con diciotto mesi di vita media, ha prodotto una forte instabilità amministrativa: basta sommare ai tre mesi di attesa quelli necessari per familiarizzarsi con i vecchi dossier, per capire quanto poco tempo resta per la gestione.
I governi avevano già in precedenza — e continuano ad avere — estesi poteri di nomina, ma solo alla scadenza dei titolari, quando un alto amministratore lasciava il servizio, per andare in pensione o per termine della durata del mandato. Così si rinnovano i vertici degli enti pubblici, di alcune autorità amministrative indipendenti, delle società partecipate, i cui titolari normalmente hanno un mandato di durata triennale. Si è poi aggiunto un istituto prima sconosciuto, definito, secondo l’uso americano (dove l’istituto è esistito fino al 1883) «sistema delle spoglie».
Di questo sistema, che impone una conferma o la nomina di altra persona alla caduta di ogni governo, non c’era bisogno perché ogni ministro ha suoi collaboratori, che sceglie discrezionalmente e fanno parte di quello che si chiamava una volta gabinetto (ora ufficio di diretta collaborazione). I gabinetti, una volta di piccole dimensioni e con pochi poteri, sono ora aumentati di dimensione (ognuno oscilla tra 150 e 300 addetti, spesso dando posti a politici non più candidati o non eletti) ed hanno acquisito poteri di fatto prima inesistenti.
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