Adesso al Paese è necessaria una classe dirigente neutrale
Che il sistema delle spoglie funzioni male, è sotto gli occhi di tutti. Se avesse funzionato, non saremmo qui a lamentarci ogni giorno del malfunzionamento delle pubbliche amministrazioni. La precarizzazione delle figure apicali produce un manipolo di transeunti, poiché le crisi dei governi sono frequenti; anche chi è confermato sta «come d’inverno sugli alberi le foglie». Ha un effetto indiretto, sotterraneo: sollecita a entrare nelle grazie delle forze politiche. Crea un anomalo rapporto di fiducia (quante volte i politici si sono chiesti «mi fido o non mi fido?»). Incide sulla imparzialità della pubblica amministrazione, che è un principio costituzionale. Annulla la separazione dei compiti tra politica, che indirizza e controlla, e amministrazione, che gestisce, separazione che fu introdotta nel 1993. Crea un circolo vizioso per cui ogni parte politica, quando va al governo, porta, sia pure per un periodo ridotto, i suoi uomini, con l’effetto di contribuire al dissesto amministrativo. Non consente l’attuazione di quell’articolo della Costituzione che richiede che «siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione» perché le scelte compiute nelle conferme o nelle nuove nomine dei governi sono completamente discrezionali, non trasparenti, non fondate su criteri prestabiliti, non aperte a tutti, non assicurano il rispetto del principio del merito, comportano una inevitabile politicizzazione, o almeno sensibilizzazione alla politica, della burocrazia e sono destinate a durare per la sola vita del governo nominante. Rompe quel delicato equilibrio, che deve essere mantenuto dalla burocrazia, per cui essa non deve solo assicurare una leale attuazione degli indirizzi governativi, ma anche la sollecita esecuzione delle leggi e una loro imparziale applicazione: sono tre obblighi a cui l’amministrazione è tenuta, il primo rispetto al governo, il secondo rispetto al Parlamento, il terzo rispetto ai cittadini.
Il ministro della Difesa, che ha aperto il fuoco, sa che le critiche rivolte alla burocrazia vanno in parte indirizzate allo stesso corpo politico, che ha prodotto troppe leggi tra di loro contraddittorie e spesso assorbito la funzione amministrativa, esondando da quella legislativa, previsto controlli asfissianti ma inefficaci, come quelli preventivi e concomitanti, disincentivato il fare e prodotto una burocrazia difensiva perché spaventata.
Il ministro sa anche che il giudizio da dare agli apparati è molto articolato. Come non esprimere un ottimo giudizio sul modo in cui negli ultimi trent’anni il Viminale ha gestito l’ordine pubblico e la Farnesina i rapporti internazionali? Si può dare un analogo giudizio al ministero dell’Economia e delle finanze, dove la Ragioneria generale dello Stato brilla per oscurità dei criteri di valutazione e per scarsa conoscenza della macchina statale, e la Direzione generale del Tesoro supera troppo spesso la sottile linea di distinzione tra economia pubblica ed economia privata? E che dire del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, che non è riuscito a ricreare un corpo tecnico dopo l’infelice distruzione del Genio civile?
Il governo si trova ora dinanzi a un bivio: mettersi sul piano inclinato dell’allargamento del sistema delle spoglie, oppure fare un passo indietro, abbandonarlo, dotare il Paese di una burocrazia stabile, robusta, capace, ben selezionata, imparziale, neutrale e leale rispetto a qualunque forza politica. Si tratta di far prevalere la qualità delle persone e non lo spirito di parte; di scegliere non persone fedeli, ma persone capaci. La burocrazia deve essere selezionata secondo criteri oggettivi e non — come viene proposto — in base alla adesione alla ideologia di questo o quel partito. Ma va diretta e deve lasciarsi dirigere dal governo senza frenare o sabotare.
Capisco che un governo diretto da chi non è stato al potere nei settantacinque anni di Repubblica si chieda come potrebbe usare il sistema delle spoglie, per poi sopprimerlo. Questo sarà possibile se si adotta una norma transitoria che consenta di valutare, una volta per tutte, in modo imparziale, la «performance», l’idoneità e la neutralità delle persone che oggi ricoprono gli incarichi, confermandole o non rinnovandole, in vista di un meccanismo futuro, a regime, che premi esperienza e capacità e, nello stesso tempo, crei un canale di accesso veloce dei giovani più capaci, ristretto ad un centinaio di uomini e donne che, messi al vertice dell’amministrazione, la facciano funzionare in maniera efficace. Così si potrebbe creare un vivaio da cui far emergere una classe dirigente amministrativa. È il più grande regalo che la politica potrebbe oggi fare al Paese.
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