Migranti e valori, la premier scelga

Non si può chiudere il mare, non si possono chiudere nemmeno i porti (il processo a Matteo Salvini è lì a dimostrarlo), allora si inventano regolamenti sempre più tortuosi per rendere i salvataggi più difficili. Di fatto, per fare in modo che d’ora in poi ce ne siano di meno. E’ questo il patto per le migrazioni in salsa italiana, ma nonostante il cinismo che lo sottende non soddisferebbe gli alleati sovranisti di Meloni ancora fermi a: non devono partire. Così Meloni ha ora la forza elettorale per scegliere da che parte stare. Von der Leyen è considerata in campagna elettorale, sebbene non l’abbia lanciata ufficialmente, per una sua rielezione a Bruxelles. Il progetto di Weber invece – che tra i popolari è uno dei rivali della presidente della Commissione – è quello di staccare i partiti conservatori più “moderati” o presunti tali dai falchi polacchi. Che possa davvero riuscirci con Fratelli d’Italia, è tutto da dimostrare. Che ci stia provando, e che in qualche modo lo stia facendo anche Ursula von der Leyen, è invece lampante.

C’è poi una questione più larga che riguarda il destino dell’Europa. Al convegno che ieri, a Roma, ha ricordato la figura di David Sassoli, morto prematuramente un anno fa, l’11 gennaio del 2022, Romano Prodi ha ripetuto quella che è da anni la sua idea: perché l’Europa progredisca sul piano della politica estera, e quindi anche su quello della crisi migratoria, c’è bisogno che vada a due velocità. Che un blocco di Paesi si faccia avanguardia del cambiamento, e quei Paesi non possono che essere Francia, Germania, Italia e Spagna. Se fosse questa la strada da seguire anche per il governo più di destra che l’Italia abbia conosciuto dalla nascita della Repubblica, incidenti come quelli con la Francia – proprio sui migranti – non dovranno più ripetersi. A quel convegno ha parlato fuori programma il ministro degli Esteri Antonio Tajani, mentre quello delle Politiche europee Raffaele Fitto, cui Meloni ha affidato praticamente tutto in Ue, era seduto in prima fila.

E’ stato uno scrittore, Paolo Rumiz, a rivelare ieri uno degli aspetti più profondi dell’europeismo di Sassoli. L’ex presidente del Parlamento di Strasburgo ricordava spesso la radice mitologica femminile di Europa: il solo continente, la sola «potenza» a poter «vantare come eroina una donna, fragile, che aveva attraversato il mare con paura». Ricordava quindi quanto la storia delle migrazioni coincidesse con la stessa identità europea. Qualche anno fa di fronte allo scandalo di Lesbo, dove migliaia e migliaia di rifugiati aspettavano il disco verde per entrare in Europa, Sassoli parlò dell’assurdità di un’Unione europea “nata da esiliati, su un’isola, Ventotene, che rischia di morire in un’altra isola, nel cuore di altri esiliati”. Valeva allora per Lesbo, così come vale ancora per tutto il Mediterraneo. Non basterà un patto per le migrazioni a far sì che l’Europa prenda un’altra strada, ma sarebbe davvero il momento di cominciare a cercarne una realistica. Possibilmente, anche più umana.

LA STAMPA

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