La Prof impallinata

Massimo Gramellini

Non sarò una mamma finlandese, però nutro anch’io qualche lievissima perplessità sullo stato di salute della scuola italiana. E forse non solo della scuola. A Rovigo, per dire, c’è una professoressa di scienze, Maria Luisa Finatti, che ha appena denunciato alla magistratura una classe intera, ventiquattro ragazzi: alcuni di loro per averle sparato addosso dei pallini con un fucile ad aria compressa, e gli altri per avere ripreso e diffuso la scena sui social con commenti tra il gongolante e l’irridente. L’episodio risale all’ottobre scorso. Ebbene, a dar credito alla prof, ciò che l’ha spinta a compiere un gesto così irrituale è stato il silenzio di tutti.



Il silenzio degli studenti, tranne l’unico che si è scusato, ma di nascosto, per non fare brutta figura con i compagni. Il silenzio della scuola, che non ha ancora preso provvedimenti nei confronti dei pistoleri. Ma soprattutto il silenzio delle famiglie: in tre mesi neanche un genitore di quella scoppiettante combriccola si è sentito in dovere, non dico di strigliare il proprio figliolo (e quando mai?), ma almeno di chiamare la prof per chiederle come stava, esprimerle solidarietà e tentare di ricostruire un canale di comunicazione tra la famiglia e la scuola, le due istituzioni in disarmo che si occupavano dell’educazione dei giovani prima di essere rimpiazzate dai più agili smartphone. Un’istituzione non dovrebbe mai fare pena, ma non saprei descrivere diversamente ciò che provo per quella professoressa, e un po’ per tutti noi.

CORRIERE.IT

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