Caro carburanti, Giorgia Meloni alla prova delle accise

di Luca Ricolfi

Non credo che i primi passi falsi del governo Meloni, dalla marcia indietro sul Pos alla riscrittura delle norme sui rave party, abbiano turbato troppo l’elettorato: sono cose abbastanza marginali, che toccano in modo diretto poche persone.

Alquanto diverso è invece il caso delle accise sui carburanti, ridotte con vari decreti da Draghi (e in parte da Meloni stessa), ma sostanzialmente ripristinate con la Legge di bilancio.

Discutere se si tratti oppure no di una promessa mancata è meno rilevante rispetto ad un altro dato: l’aumento del prezzo dei carburanti è tangibile, riguarda quasi tutti, ed è di entità non trascurabile (in media 35-40 euro al mese per famiglia, secondo una mia stima). Insomma, è una di quelle mosse cui non si può non reagire.

Non sappiamo che cosa succederà nei prossimi giorni, e se ci sarà da parte del governo un tentativo di correre ai ripari, ad esempio mediante un nuovo (inevitabilmente modesto) taglio delle accise, o mediante buoni-carburante per certe categorie, o mediante un allineamento al ribasso delle accise del gasolio e della benzina, come suggerito dall’Istituto Bruno Leoni. O se, invece, il governo terrà duro, lasciando le cose come stanno e spiegando perché non ha rinnovato il taglio delle accise.

Quel che mi sembra certo è che, coerenza con le promesse elettorali a parte, dare una spiegazione non è difficile. La ratio della misura è infatti molto semplice e chiara: mantenere la riduzione delle accise si poteva fare solo in due modi, ovvero con 10-12 miliardi in più di debito pubblico, o con 10-12 miliardi in meno di sostegni alle famiglie e alle imprese. Nessuna delle due opzioni sarebbe stata indolore, ed è tutto da dimostrare che sarebbero state opzioni più favorevoli ai ceti popolari e/o meno rischiose per l’economia.

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