Quota 41, in pensione tre anni prima (ma rimettendoci fino al 12% dell’assegno)
I vantaggi di Quota 41 per le nuove generazioni
Il blocco del requisito a 41 anni, senza più l’adeguamento biennale per l’attesa di vita, andrebbe potenzialmente a premiare in particolare le nuove generazioni, che invece con le attuali regole dovrebbero scontare un maggior numero di incrementi.
Per i nati negli anni Ottanta e Novanta i benefici sarebbero ancora superiori, e supererebbero i 4 ed i 5 anni di anticipo rispettivamente
per i nati e le nate nel nuovo millennio, sempre a patto di avere una
carriera stabile e non precaria: una condizione sempre più rara per gli
attuali giovani lavoratori.
Per le generazioni più vicine alla
pensione, nate negli anni Sessanta, l’anticipo del momento della
pensione sarebbe invece una via di mezzo: fino a 2 anni mezzo per gli
uomini, un anno e mezzo per le donne.
Che cosa succede all’assegno della pensione con l’anticipo?
Ma cosa accadrebbe al valore delle pensioni? Come sempre, andare in pensione prima è una buona notizia per i tempi della propria vita, ma
comporta una riduzione dell’importo della pensione, perché si lavora
per meno anni e si percepirà l’assegno previdenziale più a lungo.
Le tabelle qui riportate riportano anche la stima della riduzione percentuale del valore del trattamento pensionistico per lavoratori e lavoratrici.
In pensione con Quota 41: chi guadagna (davvero con la riforma)
La sforbiciata all’assegno delle pensione
Maggiore è l’anticipo, maggiore è l’impatto sull’assegno pensionistico:fino al 9% per le donne e fino al 12% per gli uomini.
Ogni lavoratore, come accaduto con le precedenti Quote, dovrebbe
scegliere tra tempo di vita libero dal lavoro e valore dell’assegno
pensionistico. Tutte le stime dipendono dal futuro aumento della
speranza di vita. Quota 41 infatti darebbe con certezza una riduzione di
10 mesi per le lavoratrici e di un anno e 10 mesi per i lavoratori, ai
quali si aggiungerebbero gli adeguamenti biennali per i requisiti
anagrafici che verrebbero evitati: nelle simulazioni è stato considerato
lo scenario Istat previsionale centrale.
Con Quota 41 verrebbe meno l’ultima delle differenze di requisiti tra uomini e donne,
che attualmente sta nell’anno in meno previsto per le lavoratrici dal
requisito di pensione anticipata. Per i laureati, invece, il riscatto di
laurea potrebbe diventare più interessante per raggiungere l’anzianità
contributiva minima richiesta, sempre a patto di essersi laureati in
corso e di aver iniziato presto l’attività lavorativa.
Il costo di Quota 41
Ma quale è la probabilità di vedere l’anno prossimo una Quota 41 così formulata? Piuttosto bassa, perché, come ci ricorda l’Inps nella sua relazione annuale 2021, il costo sarebbe tra i 6 ed i 9 miliardi di euro all’anno per i primi dieci anni, per un totale di 75 miliardi di euro (vedi tabella). Una spesa che oggi appare ben poco sostenibile: se si vorrà perseguire la strada di Quota 41, andranno previsti ulteriori paletti in grado di limitare i costi, ad esempio introducendo dei limiti minimi di età come è stato fatto con Quota 103. Il sentiero di riforma rimane molto stretto, considerando che da oggi al 2044 la spesa pensionistica continuerà comunque a crescere anno dopo anno per la progressiva entrata in pensione di milioni di baby boomers, in larga parte con il sistema di calcolo misto. Per chi invece ha iniziato a lavorare dal 1996 in poi, con il sistema di calcolo contributivo, sarebbe invece possibile prevedere da subito maggiore flessibilità futura, considerando che, a vita media, il costo per lo Stato sarebbe sostanzialmente uguale.
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