E se la recessione fosse davvero evitabile? Lo scenario del «soft landing»

Altri dati confortanti vengono dal mercato del lavoro. L’economia americana continua a generare nuova occupazione, le assunzioni al netto dei licenziamenti sono state di 223.000 unità a dicembre. E’ un dato positivo, che continua a far scendere il tasso di disoccupazione (attualmente al 3,5% negli Usa) e al tempo stesso il ritmo delle nuove assunzioni si sta calmando (a novembre era stato di +256.000). Anche questo è compatibile con uno scenario di “soft landing”, perché descrive un’economia in buona salute ma non più surriscaldata. In parallelo rallenta la velocità di crescita delle buste paga e quindi si riduce il pericolo di una spirale prezzi-salari stile anni Settanta.

La Federal Reserve di conseguenza sta pensando di poter usare nei prossimi mesi con maggiore parsimonia l’arma dei tassi d’interesse. Il prossimo rialzo, secondo le aspettative, a febbraio sarà di un quarto di punto. Mentre l’anno scorso i tassi d’interesse venivano aumentati di +0,75% o di mezzo punto alla volta. Powell si comporta come se il “soft landing” stesse diventando credibile.

Le brutte sorprese ancora in agguato.

Molte cose possono ancora andare storte e guastare questo scenario positivo. Ci sono sempre le grandi incognite geopolitiche in agguato. Per esempio, non sappiamo quali altre sorprese tragiche potrà riservarci la guerra in Ucraina (un anno fa a quest’epoca la stragrande maggioranza di noi non pensava neppure che fosse possibile, questa guerra).

Ci sono venti contrari anche sul fronte economico. Una maggioranza di chief executive americani ed europei continuano a prevedere la recessione, e quindi si comportano di conseguenza: riducono gli investimenti. E’ il caso classico di una “profezia che si auto-avvera”: se gli imprenditori sono pessimisti, i loro comportamenti finiscono per aggravare i rischi di recessione. Anche le grandi banche Usa restano pessimiste: le quattro maggiori aziende di credito di Wall Street hanno accantonato 2,8 miliardi di dollari in previsione di perdite sui prestiti, cioè in previsione della recessione. Infine c’è l’incognita della Cina: le sue esportazioni per adesso non si riprendono. La Cina è pur sempre la seconda economia mondiale, se non riparte fa mancare un grosso motore alla ripresa.

Quale differenza tra mini-recessione e mini-crescita?

Cambia molto, se nel 2023 arriva o non arriva una recessione? Ricordo che la definizione di una recessione è tecnica: viene sancita ufficialmente quando per due trimestri consecutivi l’economia regredisce, il Pil ha un segno negativo, la creazione di ricchezza diminuisce. E’ un concetto astratto. C’è una differenza davvero enorme, tra una situazione in cui il Pil aumenta dello 0,5% ed una in cui diminuisce dello 0,5%? I lavoratori, le famiglie, percepiscono questo divario come sostanziale? Per le popolazioni è più immediato l’impatto dell’inflazione, che riduce il potere d’acquisto e costringe a rinunce. In questo senso la buona notizia è se la Fed riesce a domare il carovita. Ma anche la differenza tra mini-recessione e mini-crescita può essere percepita, se nel caso peggiore aumentano le aziende che licenziano. Inoltre il solo fatto che venga annunciata una recessione ha un impatto piscologico, i consumatori si spaventano e riducono le spese. L’economia è una scienza sociale, in cui la dimensione psicologica conta, e contribuisce all’imprevedibilità. Il verdetto rimane aperto, e io non esercito il mestiere delle previsioni. Osservo solo che le prime due settimane del 2023 ci hanno regalato qualche probabilità in più che il prosieguo non sia un anno drammatico per le economie occidentali.

CORRIERE.IT

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