Niccolò Ammaniti: “La paura dice la verità”
Arriva a parlare di sindrome di Stendhal.
«È una
cosa che penso. Ci sono donne talmente belle che fai fatica a
relazionarti in maniera normale. Quella sensazione l’ho provata ed è
come se l’intelligenza si ritraesse davanti alla bellezza».
A questo punto bisogna chiederle con chi le è successo.
«La
prima volta che ho lavorato insieme a Monica Bellucci aveva 28 anni ed
era così, superiore. Poi fortunatamente è anche molto simpatica e questo
attenuava l’effetto che la sua bellezza aveva su di me. E poi Carla
Bruni: al contrario di Monica distaccata, ma perfetta come una statua,
con occhi impenetrabili. Mi interessava quest’aspetto e il fatto che
donne così diventino quotidianamente bersaglio di ingiurie o complimenti
esagerati. Mi interessa vederne la parte umana, quel che si cela dietro
tanta perfezione».
Ha detto prima che aveva voglia di riallacciare il rapporto
con i lettori grazie a un nuovo libro. Che scrittore è? Risponde alle
lettere, ai messaggi, o si ritrae?
«Col tempo per educazione
ho iniziato a rispondere. Ma soprattutto all’inizio ritenevo non
necessario il rapporto con il lettore. Le presentazioni erano per me
assolutamente insensate. Non consideravo significativi quegli incontri e
non sono uno di quelli che si crogiola nella sensazione di amore
diffuso che possono fornire. Mi toglie un po’ il respiro».
Dopo Anna aveva detto di aver chiuso con i protagonisti
adolescenti, ma Maria Cristina, che pure ha 42 anni, con le sue ansie,
le paure, il percorso di emancipazione, assomiglia proprio a
un’adolescente. È voluto?
«Non sono un grande esperto di
letteratura, se non perché ho sempre letto tanto, ma penso che i
migliori protagonisti dei romanzi debbano mantenere una certa quantità
di adolescenza. Quel periodo della vita in cui abbandoniamo delle cose,
ne cerchiamo altre, avanziamo a tentoni in un magma che diventa prima
esperienza e poi maturità. Fin da piccola il padre e la madre di Maria
Cristina le hanno fatto pensare che la sua bellezza fosse uno
svantaggio».
La madre le dice che senza coraggio, la bellezza la distruggerà.
«La
fanno sentire tutti inadeguata, ma nel corso dei capitoli la sua figura
cambia: la paura che il video possa essere visto dal mondo intero – e
mettere fine alla carriera del marito – manda tutto in cortocircuito e
la rende diversa».
La vulnerabilità la umanizza.
«Nel corso delle giornate comincia ad assomigliarci e a farci tenerezza».
Eppure quel video, che potrebbe distruggerle la vita, è
l’elemento che la salva, la libera, le fa scoprire una forza che non
sapeva di avere.
«Prima di arrivarci c’è la fase del
terrore. Non voglio minimizzare l’inferno che passa una donna che magari
si è ritrovata un filmino del genere sul telefonino, con la paura o la
certezza che possa essere diffuso. Ci sono persone che sono morte per
questo. Siamo abituati a percepire una cosa del genere come una minaccia
e reagiamo di conseguenza».
È una minaccia soprattutto per le donne. Sono loro a essere
più esposte ad attacchi, nel momento in cui ne viene rivelata la vita
intima. Si è mai chiesto perché?
«C’è un aspetto
antropologico-genetico. Gli uomini nei confronti delle donne hanno
questa tendenza a razziare. Controllabile, ma c’è. Quando vedono le
donne fare sesso le percepiscono come lascive, riconducibili a
quell’unica dimensione. Basta pensare a quel che succede alle pornostar
quando finiscono la carriera: sono costrette a giustificarla per la
vita. Mentre Rocco Siffredi riceve pacche sulle spalle».
Per la moglie del premier, eletta da un sito la donna più
bella del mondo, la distanza tra essere e apparire è sicuramente
maggiore che per una comune mortale. Ma questo meccanismo del controllo
di come si è visti in rete, percepiti dagli altri, è ormai presente
nella vita di tutti. A partire dai ragazzini.
«Non so come
possa curarsi. Ne ho parlato anche con mio padre (il neuropsichiatra
infantile Massimo Ammaniti, ndr) e trovo terribile come molte ragazzine
siano indotte a mandare continuamente immagini di se stesse cercando
continuamente la foto migliore, magari usando dei filtri per
ritoccarla».
Suo padre ha proposto di non dare i telefonini ai bambini almeno fino all’adolescenza.
«Solo
che per farlo una madre dovrebbe trasformarsi in un generale e spesso
vince la stanchezza. Lo capisco, ma questo modo di rapportarsi con il
mondo produce un inevitabile distacco tra quel che sei e quel che mostri
agli altri. Un atteggiamento quasi schizofrenico. Conosco ragazze che
preferiscono fidanzarsi solo virtualmente piuttosto che vedersi,
toccarsi, per paura che l’incontro tradisca l’immagine che hanno dato di
se stesse. È un disastro, ma non ho grandi idee di come si possa
superare. Forse col tempo scemerà per fatica, per consunzione».
Lei non è sui social. Come Jhumpa Lahiri. Quando le ho chiesto perché mi ha detto: la vita è troppo breve.
«Sono
d’accordo con lei. È una tale fatica, quelli a cui portano dei benefici
sono davvero pochi. E poi trovo assurda questa concentrazione ossessiva
sulla tua persona. È un continuo rimasticare se stessi. Abbiamo sempre
pensato che la vita dovesse essere scoperta dell’altro, avventura, posti
che non conosciamo. E invece – appresso ai social – ti ritrovi a Dubai
perché viene bene in foto».
Nel libro descrive, anche grazie al personaggio del Bruco, il
misterioso social media manager del marito di Maria Cristina, il
rapporto consunto tra politica e consenso. Tanto che un governo sembra
possa essere danneggiato da un taglio di capelli.
«Mi
sconvolge come non ci sia più una gerarchia nelle notizie, soprattutto
online. Ti ritrovi con la guerra in Ucraina sulla stessa riga di Totti e
Ilary. Trovo sia una delle cose più spaventose del nostro tempo, la
scomparsa delle priorità. Dovrebbe essere irrilevante come si veste la
moglie di un premier per incontrare un ministro, e invece per lei
diventa così essenziale».
La figura del premier e marito di Maria Cristina è
inafferrabile: non capisci cosa pensi davvero, intravedi solo come sia
divorato da quel che fa.
«Ho voluto descrivere un politico
chiamato in un momento di difficoltà, com’è successo a tanti, che scopre
a un certo punto come quelli che lavorano contro di lui siano quelli
che gli stanno più vicino. E poi mi sono sempre fatto una domanda. Come
può dormire la notte chi promette di continuo cose che sa di non poter
realizzare? E come può chi gli sta vicino, e sa di quelle bugie,
dormirgli accanto senza detestarlo?».
La paura finisce dove comincia la verità, dice la
parrucchiera santona, uno dei personaggi più caldi e empatici del libro.
Lei ci crede?
«Sì. Nel momento in cui fai i conti con la
tua paura comincia la verità. Maria Cristina durante l’intervista pensa:
“Quel diavolo mi ha dato il coraggio”. Perché la verità la trovi solo
quando sei coraggioso. C’è per ognuno di noi un momento in cui sei
costretto a fare un salto nel buio e mi piaceva che una donna che si
sente una cretina faccia quel salto dicendo: per il bene del Paese sono
pronta a mostrarmi per quello che sono. E mia figlia, se è intelligente,
capirà».
Una volta ha detto che scrive sempre di solitudini. Per essere sola Maria Cristina deve fuggire su un tetto.
«È il
personaggio più solo che abbia mai creato. Lo è talmente che quando
capisce che ha bisogno di rivelare il suo segreto lo dice a Luciano, la
persona più inadatta a maneggiarlo».
La figlia di 10 anni è una piccola luce. Cosa pensa delle nuove generazioni? In questi giorni si fa un gran parlare degli ambientalisti che lanciano vernice sui monumenti o si fanno arrestare per tentare di fermare l’allargamento di una centrale a carbone in Germania.
«Penso che quel che fanno abbia molto senso e che siamo dei pazzi. I grandi cambiamenti climatici sono avvenuti in milioni di anni, i mammut hanno cominciato a tirare fuori la lana, adesso invece la temperatura si alza di un grado all’anno. Il mondo mi terrorizza, in questo senso cerco sempre più posti che mi rassicurino. Non avendo figli, cerco il modo migliore per sfangarla. E credo sia difficile per chi ne ha immaginare un futuro. L’uomo non è in grado di lavorare per i posteri, di agire tenendo in mente il bene dei figli dei suoi figli. Siamo naturalmente programmati per non preoccuparcene, e questo – a meno di una rivoluzione – ci perderà».
LA STAMPA
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