“Salari aumentati, su i tassi”. Ma i dati smentiscono la Bce
La Banca centrale europea (Bce) difende la politica economica orientata all’aumento dei tassi direttori, già ritoccati più volte a partire dal mese di luglio del 2022, sostenendo che sarà necessario intervenire ancora. Il perché è presto detto: l’aumento del costo del denaro rallenta i consumi e quindi l’inflazione, giunta al 9,2% nell’Eurozona e all’11,6% in Italia.
Ora però la Bce sostiene che l’aumento dei salari spingerà i consumi e questo contribuirà a fare salire i prezzi, motivo per il quale sarà necessario ritoccare ulteriormente verso l’alto i tassi direttori.
Quanto è reale, però, l’aumento dei salari?
Prima di addentrarci in questa analisi, occorre sottolineare che quando si parla di un dato economico si fa quasi sempre riferimento a valori medi e spuri. Valori medi perché sono riferiti a un intero comparto di riferimento e spuri perché non sono paragonati ad altri elementi del medesimo contesto.
L’Eurotower, in questo caso, usa come indice i salari tedeschi, cresciuti del 3%. Questo non vuole dire che tutti i lavoratori in Germania hanno ricevuto un aumento salariale e non tutti in uguale misura: il 3% che per la Bce è un parametro valido riguarda soltanto i metalmeccanici. Inoltre, e qui cominciamo a spostarci in Italia, la Bce non sembra tenere debito conto dell’inflazione in rapporto al valore reale dei salari né di altri dati significativi come, per esempio, il fatto secondo il quale gli italiani hanno assottigliato i propri risparmi, proprio per fare fronte al caro vita (bollette in primis).
In Italia l’aumento dei salari si può stimare intorno all’1% in media ma i salari reali, quelli che tengono conto dell’inflazione, sono scesi di oltre il 6%. Davanti a questi numeri, la linea di pensiero della Bce scricchiola.
La logica della Bce
A Francoforte sono certi che i salari aumenteranno ovunque in Europa. Buono a sapersi e, parlando esclusivamente dell’Italia, è vero che i sindacati stanno chiedendo agli imprenditori di rinforzare le buste paga, proprio a causa della perdita di potere di acquisto dei lavoratori.
Il fatto che i sindacalisti siano al lavoro non vuole dire che il risultato è assicurato ma, ancora prima, occorre fare un ragionamento a valle. L’industria italiana è pronta ad assorbire il maggior costo della forza lavoro o dovrà aumentare i prezzi di vendita per farvi fronte? Così fosse, l’aumento delle retribuzioni contribuirebbe a creare inflazione, in un contesto nel quale la Bce si dice pronta ad aumentare ancora il costo del denaro per limitare l’ascesa del caro-prezzi.
Sembra il classico cane che si morde la coda ma la Bce ha una soluzione anche a questo: poiché ci sono molte aziende che producono beni o servizi per altre aziende, un eventuale aumento dei costi di fornitura andrebbe a ricadere sull’inflazione soltanto in modo differito.
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