La necessità del dubbio e la sindrome del puparo
Anche stavolta molti italiani si sono subito chiesti se non ci stanno mentendo sull’arresto del boss
Il dubbio sistematico è l’abito mentale dell’Occidente, da Cartesio in poi. È un metodo che ci induce a sottoporre al vaglio della ragione qualsiasi verità, fosse pure matematica, prima di accettarla come vera. Allo stesso modo, nelle società aperte lo scetticismo è il dovere deontologico della stampa libera; così come il potere di inchiesta e controllo è la funzione democratica del Parlamento, e in esso delle opposizioni.
Vogliamo perciò sapere ogni cosa, non appena sarà possibile e senza pregiudicare le operazioni di polizia, dell’arresto di Messina Denaro, delle indagini che l’hanno preceduto, delle condizioni in cui è avvenuto. È peraltro comprensibile non accontentarsi mai della versione ufficiale, perché la storia della Repubblica purtroppo abbonda di notti ancora avvolte nel mistero.
Ma bisogna riconoscere che, forse proprio a causa di questa tradizione di opacità, in ampi settori dell’opinione pubblica si è diffuso, al posto del dubbio, un pregiudizio di sfiducia sistematica nei confronti dello Stato e dei suoi apparati. Che ha trasformato spesso l’ansia di verità in presunzione di menzogna da parte delle autorità.
Riforniti a getto continuo di presunti complotti da quella che potremmo definire una vera e propria setta, Dietrology, anche
stavolta molti italiani si sono subito chiesti se non ci stanno
mentendo sull’arresto del boss, se in realtà si sia consegnato, oppure
sia stato tradito (il che non inficerebbe comunque la vittoria
dello Stato); o peggio ancora se non sia stato immolato sull’altare di
una nuova trattativa dei vertici mafiosi al fine di ottenere benefici
per chi è in galera e concessioni per la mafia che verrà. Così, mentre
in tutto il mondo dicono «gli italiani hanno preso il capo della mafia»,
molti italiani si chiedono perché solo ora, se era così facile.
I precedenti nel nostro Paese —
l’abbiamo detto — inducono a dubitare. Ma anche tanti anni di teorie
del «doppio Stato», di giochi di parole su «chi è Stato», di sospetti
lanciati su servitori dello Stato fedeli, compresi quelli che presero
Totò Riina, hanno scavato alla lunga un solco tra cittadini e
istituzioni non sempre giustificato; creato un
senso comune, un riflesso condizionato, per cui dietro ogni scena ci
deve essere un retroscena, dietro ogni fatto una trama, e dietro ogni
evento un puparo.
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