La mafia borghese di Messina Denaro: niente lupare, ma politici, manager, massoni e imprese a caccia di finanziamenti pubblici
Se Palermo è la capitale della mafia, Trapani grazie a Matteo Messina Denaro è diventata la capitale del settore finanziario, lo zoccolo duro di Cosa Nostra dove il controllo del territorio per decenni è stato pressocché totale, dove il rapporto con le istituzioni e con la massoneria è tradizionale. Massoneria e mafia, due facce della stessa medaglia. Entrano nella vita della gente, decidono le sorti, distribuiscono prebende. È questa l’incarnazione della mafia borghese, sin da quando capo mafia di Castelvetrano era tale Melchiorre Allegra, medico di professione, arrestato nel 1937. Fece il pentito ma non venne creduto. Mafia borghese che, oltre a proteggere il boss durante la lunga latitanza, ne ha permesso l’arricchimento. Le imprese di Cosa Nostra hanno fatto incetta di finanziamenti pubblici da far sparire nelle casse mafiose. «Un sistema illegale diventato per i più legale – ebbe a dire l’attuale direttore del Servizio Centrale Anticrimine Giuseppe Linares – che ha esercitato una funzione di catalizzatore sociale». A Messina Denaro in meno di dieci anni sono stati sequestrati beni per circa 5 miliardi di euro. Qui intanto «è tutto a posto» è l’adagio che passa. Oggi ancora di più, con il latitante catturato in quella clinica privata di Palermo. Arrestato, ma forse alla fine ha deciso anche di non scappare più e non solo perché si è visto circondato. Lui che con la sanità siciliana aveva rapporti idilliaci, che avrebbe usato ambulanze e auto mediche per spostarsi in questi trent’anni di latitanza, alla fine è stato tradito dal tumore che, spiace dirlo, è al momento la cosa più democratica in questo nostro Paese (la chiosa è del procuratore aggiunto di Palermo, Paolo Guido), nel senso che non guarda in faccia a nessuno.
LA STAMPA
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