Cina: qualcosa si è rotto, calano anche le nascite
Stefano Stefanini
Per decenni in Cina tutto è stato in ascesa. Qualcosa si è rotto? La popolazione più numerosa del mondo è un gran punto di forza. Cosa succede se diminuisce? Nel 2022 ha perso quasi un milione di abitanti. Si sapeva del calo demografico in arrivo ma la spia si è accesa prima del previsto. Le conseguenze vanno oltre i confini del Celeste Impero. La Cina è la fabbrica del mondo, locomotiva dell’economia internazionale, potenza planetaria seconda solo agli Stati Uniti e in corsia di sorpasso, da ultimare nel 2050 – nei disegni cinesi almeno, senza fare i conti con l’oste americano. Quanto cambia l’emorragia di popolazione? Su 1400 milioni di abitanti un calo dello 0,0007% è un’inezia statistica. Nessuno se ne accorge – quest’anno. Il problema sorge nei prossimi decenni. È il primo calo netto ma le nascite sono in diminuzione da sei anni. Dopo il tardivo abbandono della “one child policy” Pechino è passata agli incentivi per tre figli. Hanno scarsa presa sulla massa di popolazione nelle città dove per tirare avanti servono due stipendi. La forbice si stava allargando da tempo. L’allungamento della durata media della vita ha drasticamente ridotto la mortalità e mascherato l’impatto del calo di natalità. L’invecchiamento della popolazione porrà presto problemi di sicurezza sociale e capacità lavorative, analoghi a quelli delle nostre società senza però beneficiare di immigrazione. Il problema non è un milione di abitanti in meno all’anno, è la bomba a scoppio ritardato della drastica riduzione di forza lavoro nei prossimi due-tre decenni.
Nel 2022 ha rallentato anche la crescita: 3% secondo le statistiche ufficiali. In Europa faremmo i salti di gioia. In Cina è il tasso più basso in mezzo secolo. Non basta per continuare l’innalzamento delle condizioni di vita e la sottrazione dalla povertà di larghi strati della società cinese. Il modello cinese è basato sul binomio benessere economico in cambio di ossequienza politica. Il 3% in più annuo del Pil non lo garantisce. Xi Jing Ping si è appena aggiudicato il terzo mandato quinquennale alla guida del Paese. Può anche riuscire a farlo permanente come quello del suo idolo, Mao Zedong. Ma ha bisogno di consenso e il consenso ha bisogno di crescita.
La pandemia, o meglio l’infelice strategia “zero Covid” di Xi, è stata la causa principale del rallentamento economico. L’abbandono dovrebbe permettere un rilancio a partire da quest’anno. Sono però maturate altre difficoltà: le restrizioni americane all’esportazione di tecnologie, le crescenti diffidenze europee e il disinvestimento di operatori multinazionali a favore di altri Paesi asiatici politicamente più sicuri. La Cina ha cavalcato brillantemente la globalizzazione. Adesso dovrà accontentarsi di una globalizzazione meno ebulliente, prova ne siano le diserzioni di quest’anno dal tempio della globalizzazione – Davos. Come adombrato nel XX Congresso Xi intende compensare almeno in parte col mercato interno.
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