Intercettazioni, voglia di bavaglio
Francesco Grignetti
Piuttosto che ingaggiare un micidiale corpo a corpo con i magistrati, foriero di molti guai, e sicuramente fuori dal comune sentire del popolo della destra, il governo di Giorgia Meloni immagina già una via di fuga dal vicolo cieco dov’è finito con le esternazioni del ministro Carlo Nordio. E perciò, prima cosa, tutte le macchine legislative sono state fermate, quantomeno per un mese, fino alle elezioni regionali di Lombardia e Lazio. Secondo, se proprio si deve fare qualcosa sul tema delle intercettazioni, si colpisca l’anello debole, i giornalisti, e non quello forte, i magistrati.
Fonti autorevoli di maggioranza raccontano di un garbatissimo invito a Nordio affinché metta da parte per qualche settimana i bollenti spiriti. «Non serve a nessuno alimentare uno scontro con la magistratura tutta, che il Paese non capirebbe il giorno dopo l’arresto di Messina Denaro», dice un parlamentare influente. E un altro: «Le intercettazioni non si toccano. La maggioranza, o quantomeno la sua gran parte, è contro la grande criminalità come contro la piccola criminalità».
Non è solo questione di tattica sbagliata. Il ministro Guardasigilli era partito alla carica contro i suoi ex colleghi? Il risultato – osservano sgomenti ai piani alti del centrodestra- è che la maggioranza si è spaccata, con FdI e Lega da una parte, Forza Italia e centristi dall’altra; le opposizioni fuoriuscite inaspettatamente dall’afasia; gli unici a beneficiarne sono quelli del Terzo Polo, vedi il successo della mozione di Enrico Costa. E così, se Nordio era partito con le sue esternazioni per aprirsi la strada e tagliare le intercettazioni, s’è ritrovato, dopo diversi colloqui ad alto livello, a doverle confermare per i «reati-satellite» della mafia, ovvero tutti quelli per cui già si fanno. Un completo disastro, il suo.
E allora? Il mantra che può ricucire le divisioni del centrodestra a questo punto è la lotta ai presunti «abusi», come ripeteva ieri anche il vicepremier Antonio Tajani, che ledono «i diritti di cittadini sbattuti in prima pagina per poi risultare completamente estranei alle vicende». Solo che ora ad abusare delle intercettazioni non sarebbero più i magistrati, quanto i giornalisti.
«Bisogna intervenire – dice infatti al mattino il sottosegretario Andrea Delmastro, FdI, intervenendo alla trasmissione tv Agorà – da una parte con l’Ispettorato generale per verificare che non vi siano fuoriuscite di notizie dalle procure, dall’altra parte con una norma più stringente. E poi lo dico onestamente, sì, anche sui giornali». Chiosa il capogruppo FdI al Senato, Lucio Malan: «Si vogliono impedire gli abusi come la pubblicazione di conversazioni estranee alle indagini».
L’idea che piace dentro al governo, insomma, e che salverebbe la faccia al Guardasigilli, è un possibile divieto di pubblicazione delle intercettazioni tal quali, anche se ricavate da atti giudiziari, «qualora siano pregiudizievoli della onorabilità di un non indagato». Spiegano: «C’è la nuova legge Orlando-Bonafede, ma non funziona, come anche ieri s’è visto nel caso Calovini (uno scoop di Repubblica su un’inchiesta a Milano teneva banco nella chat dei parlamentari di FdI. Troppo gustoso lo sfogo intercettato del deputato Giangiacomo Calovini contro Daniela Santanché per questioni territoriali. «Quando morirà, perché morirà, cagherò sulla sua bara», ndr). Se pure qualche intercettazioni non rilevante penalmente sfugge al controllo dei magistrati, toccherà ai giornalisti valutare». Un eufemismo. Perché in caso di pubblicazione “proibita”, scatterebbero multe salate.
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