Balneari, strappo sulle spiagge: ora Meloni rischia una grana con la Ue

ALESSANDRO BARBERA

ROMA. Giorgia Meloni ha una nuova mina innescata con Bruxelles: le concessioni balneari. Come nel giorno della marmotta, nonostante una sentenza inappellabile del Consiglio di Stato, una della Corte di giustizia europea, una procedura di infrazione aperta sin dal 2009 e canoni risibili a fronte di profitti spesso enormi, tutti i partiti della maggioranza sono compatti nel chiedere di fermare la scadenza che imporrebbe l’obbligo di messa a gara delle concessioni dal primo gennaio 2024. Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, pressati dalla lobby del settore, hanno presentato tre emendamenti al decreto “Milleproroghe” in discussione al Senato. E lo hanno fatto a poche ore da un incontro (giovedì) del ministro degli Affari comunitari Raffaele Fitto con il commissario europeo Thierry Breton. Fitto, che deve nel frattempo sta trattando con la Commissione le modifiche al Piano nazionale delle riforme (Pnrr), è stato costretto a discutere con il francese anche di questo. In queste ore fra Roma e Bruxelles è in atto un tentativo di mediazione per evitare una rottura. L’approvazione di un qualunque emendamento di stop alla riforma farebbe decadere la legge delega voluta dal governo Draghi in scadenza il 27 febbraio.

Meloni è fra l’incudine e il martello. Da una parte ha la maggioranza compatta nel difendere le ragioni dei balneari, dall’altra l’Unione, con la quale ci sono aperti molti dossier, dal Pnrr alla riforma del Patto di stabilità. L’introduzione delle gare nelle concessioni balneari non è fra gli impegni del Pnrr, ma ha un’enorme rilevanza politica: il sì ad uno solo degli emendamenti sarebbe vissuto a Bruxelles come un atto di provocazione. Prova ne è l’atteggiamento che aveva avuto sul tema Mario Draghi, che a governo dimissionario spinse per fare procedere la mappatura delle concessioni e nonostante la minaccia di dimissioni dell’allora ministro leghista del Turismo Massimo Garavaglia. Ora nella poltrona di Garavaglia siede Daniela Santanché, fino a poche settimane fa titolare di una quota del Twiga di Forte dei Marmi. La ministra ha deciso di cedere le competenze al collega Nello Musumeci, ma è indicata dalle opposizioni come la regista delle operazioni.

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