Jas Gawronski: «Dissero ad Agnelli della morte del figlio; so che era disperato, ma non pianse»

di Aldo Cazzullo

Vent’anni fa la morte dell’Avvocato. «Una sola donna lo ha veramente coinvolto, non dirò mai chi. Al primo loro incontro, Malagò disse: “Avvoca’, diamoci del tu”. L’unica persona alla quale riconobbe supremazia fu Cuccia»

Jas Gawronski: «Dissero ad Agnelli della morte del figlio; so che era disperato, ma non pianse»

Jas Gawronski, quando vide Gianni Agnelli per la prima volta?
«Avevo vent’anni, era il 1957. Mi invitò a un party a Sestriere, con molta altra gente. Lo incuriosiva che vivessi in Polonia».

Perché?
«Era affascinato dai comunisti. Li riteneva uomini di un’altra categoria: spietati. Ed era interessato alla durezza della vita, alla sofferenza delle persone».

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Gianni Agnelli con Jas Gawronski

Quando lo rivide?
«Mi invitò alla Leopolda, la villa che aveva a Beaulieu, sopra Montecarlo. Il parco, la piscina, la vista indescrivibile: non avevo mai visto una casa così bella. Poi la vendette a un’americana».

Perché?
«La villa si chiamava così perché era appartenuta a Leopoldo del Belgio, padrone del Congo. Una residenza reale, appunto. I tempi erano cambiati. Anche se la sua casa più bella era quella in Corsica, a Calvi, vicino alla grande base della Legione straniera».

Un’altra delle sue passioni.
«Attaccava sempre discorso con i legionari, che non sapevano chi fosse. Anche da quei soldati voleva sapere tutto della durezza della loro vita. Lo colpivano le loro camicie stirate alla perfezione, con le pences dietro: vanno a morire con la divisa in ordine, diceva».

Agnelli la guerra l’aveva fatta.
«Ma non ne parlava mai».

Come andò il ricevimento alla Leopolda?
«Io ho sempre girato in Volkswagen, ma quella volta arrivai con la mia fidanzata di allora su una Jaguar targata Varsavia: un dettaglio che colpì l’Avvocato. Poi dovetti scendere a Montecarlo per un appuntamento. Al ritorno, scoprii che Agnelli ci aveva un po’ provato con la mia ragazza…».

Un po’ provato?
«In modo evidente, ma elegante. Lei era più divertita che turbata».

Non un grande inizio, per l’amicizia di una vita. Cosa vi univa?
«Credo che intanto l’Avvocato avesse nei miei confronti un senso di colpa, o comunque di responsabilità: grazie al fascismo, suo nonno aveva portato via il giornale di Torino a mio nonno».

Alfredo Frassati, editore e direttore della Stampa, nominato da Giolitti ambasciatore a Berlino, dimissionario dopo la marcia su Roma. Com’era suo nonno?
«Uomo d’altri tempi, di poche parole. Agnelli diceva fosse un po’ tirchio; io rispondevo che mio nonno, a differenza del suo, non si era mai fatto fotografare in camicia nera. Ebbe due figli: Luciana, mia madre, vissuta 105 anni; e Piergiorgio, morto a 24 anni per una poliomelite fulminante contratta nelle case dei poveri che aiutava, beatificato da Giovanni Paolo II».

Quali politici stimava l’Avvocato?
«Era affascinato da Pannella. Volle conoscerlo. In lui non vedeva l’esibizionismo, ma la buona fede».

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Indro Montanelli con Gianni Agnelli nel 1999 (Ap)

E i democristiani?
«Non ne parlava certo bene. In generale non aveva una buona opinione dei politici. E neppure dei giornalisti. Anche se frequentava quelli di successo: insieme andammo alla festa per i novant’anni di Montanelli».

E i comunisti?
«Li stimava di più, aveva un ottimo rapporto con Lama. Una volta invitò a cena Castro. Dovevo esserci anch’io; ma Fidel arrivò con il suo assistente, Robaina, futuro ministro degli Esteri; per non essere in tredici a tavola, l’Avvocato mi pregò di venire dopo il dessert».

Cosa la colpì di quella serata?
«Durante la vestizione, notai che Agnelli non le attribuiva alcun significato particolare. Io avevo appena intervistato Castro con grande emozione: da anticomunista di ferro, lo ritengo tuttora un gigante della storia, capace di tenere in scacco otto presidenti americani… L’Avvocato invece era imperturbabile».

Disse davvero che si innamorano soltanto le cameriere?
«Non l’ho mai sentita quella frase. Ma sì, la pensava così».

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