Il ritorno (dannoso) dei muri
Stati Uniti e Unione europea stanno cercando di non arrivare a una guerra commerciale tra loro. Fatto sta che alzano muri, rischiano di diventare fortezze transatlantiche (in accordo o divise che siano) che irritano chi rimane fuori: alleati storici, come il Giappone, la Corea del Sud, l’Australia e lo stesso Regno Unito ma anche quei Paesi, soprattutto asiatici, che stanno beneficiando dello spostamento degli investimenti globali fuori dalla Cina, considerata più imprevedibile e rischiosa rispetto al passato, e che saranno un pezzo importante del futuro.
Oltre che un’interferenza pesante nel libero mercato, le nuove politiche di Usa e Ue rischiano di essere un errore economico e allo stesso tempo geopolitico. Le imprese occidentali hanno certamente bisogno di sicurezza in un mondo entrato in un’era di scontro tra potenze. Ma vogliono continuare a muoversi sulle rotte mondiali dove ci sono opportunità, sia per esportare sia per approvvigionarsi: se non può essere la Cina, saranno il Vietnam, l’India o un Paese africano. La sicurezza, per loro, sta nel tenere aperte le vie di comunicazione fisica e informativa, non nel costringerle in recinti. Sul versante politico, inoltre, alzare muri economici può costringere Paesi che non lo vorrebbero a legarsi più strettamente a Pechino. Non è diventando più cinesi che si vince la sfida con la Cina, tra l’altro oggi in crisi di modello. Può finire che, lasciando fuori possibili alleati, al freddo rimanga l’Occidente.
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