Anziani, i dimenticati della sanità
Paolo Russo
La popolazione italiana invecchia facendo aumentare le persone non autosufficienti, che sono già 2,9 milioni, destinate quasi a raddoppiare da qui al 2030, quando si stima diventeranno 5 milioni, su 20 milioni di over 65. Ma per 97 di loro ogni cento l’assistenza domiciliare integrata, l’Adi come si chiama in gergo, resta un miraggio, perché in media solo il 3% riesce a ottenere che un infermiere, magari ogni tanto anche un riabilitatore e un medico, si affaccino periodicamente a casa per impedire il formarsi delle piaghe da decubito o magari per rimettere in piedi chi ancora può farcela. Un diritto che diventa privilegio di pochi, pochissimi quando si parla di Calabria, dove solo l’1,2% di anziani è assistito a domicilio, o di Alto Adige (0,6%) o della piccola Valle d’Aosta (0,2%), mentre la Sardegna di privilegiati non ne ha per il semplice fatto che l’Adi non viene erogata a un sardo che sia uno. Va un po’ meglio in Sicilia (4,4%) o in Molise, che con il 5,1% è in cima alla classifica. Un quadro che nel tempo potrebbe essere anche peggiorato, perché gli ultimi dati disponibili sono del 2019, risalenti all’era pre Covid.
Una recente indagine dell’Osservatorio malattie rare – perché anche chi ne soffre ha a volte necessità di essere assistito a casa – ha rilevato che nel 60% dei casi le prestazioni sono molto diminuite e in un altro 8% si è comunque avuta una riduzione delle ore erogate. Insomma in 7 casi su dieci si è persino andati indietro anziché avanti. Secondo un sondaggio della Confad, il Coordinamento nazionale delle famiglie con disabilità, durante la pandemia il 65% degli intervistati ha dichiarato di non aver avuto nessun contatto con i centri di riferimento, con la drammatica conseguenza che non è stato attivato nessun servizio (fisioterapia, logopedia, infermiere, operatore sociosanitario, educatore). Nel 74% dei casi non c’è stata nemmeno un’offerta di assistenza da remoto e i servizi sul territorio hanno evidenziato uno stato di carenza tale per cui nell’80% dei casi i servizi non erano previsti oppure, se attivi, sono stati interrotti. Parallelamente, è stato inevitabile riscontrare un aumento del carico di assistenza da parte del caregiver familiare, al punto che, nella fase iniziale della pandemia, l’86% di loro ha dichiarato di aver subito un danno fisico-emotivo.
Un problema per chi ha bisogno di assistenza e un costo maggiore per le casse dello Stato, «visto che dove si fa meno Adi aumentano i ricoveri», fa notare Salvatore Pisani, epidemiologo e direttore del centro studi Fismu, sindacato dei medici territoriali. «E quando si leggono quelle percentuali risibili sugli anziani che hanno accesso all’Adi bisogna considerare che il problema è ancora più grave al Sud, dove – continua Pisani – sia per ragioni culturali sia per le difficoltà a sostenere le spese della retta in Rsa, molti anziani non autosufficienti vengono assistiti in casa, con grande sacrificio dei familiari».
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