La mamma del neonato morto al Pertini: «Ho chiesto aiuto per tre notti di seguito, ma non mi hanno ascoltato»
di Rinaldo Frignani
La procura indaga (per ora) contro ignoti per omicidio colposo. La 30enne: «Mi hanno svegliata nel cuore della notte e portata in una stanza per dirmi che era deceduto, ma non mi hanno spiegato come era successo»
«È come se fosse successo ieri. Ancora sto mettendo in ordine quello che ho passato in quei giorni. Pretendo che sia fatta chiarezza sulla morte del mio bambino». Sono passate due settimane dalla tragedia all’ospedale Sandro Pertini. Anna, un nome di fantasia, non riesce a pronunciare più di tre parole senza che le lacrime le impediscano di andare oltre. Un misto di rabbia e dolore accompagna la giovane donna che abita con la famiglia alle porte di Roma. Mentre la magistratura e la polizia indagano per individuare eventuali responsabilità della struttura sanitaria nel decesso per soffocamento del bimbo che aveva appena dato alla luce, la notte fra il 7 e l’8 gennaio scorsi nell’ospedale romano, la mamma – tramite il suo avvocato Alessandro Palombi, che assiste lei e il compagno – accetta di rispondere ad alcune domande.
Ricorda cosa è successo quella notte?
«Ero
ancora molto stanca, piuttosto provata dal parto, dopo 17 ore di
travaglio, il 5 gennaio. Ero entrata in ospedale il giorno precedente,
avevamo scelto il Pertini perché ero affezionata a questo posto visto
che ci sono nata anche io. Per due notti, quella dopo aver partorito e
quella successiva, sono riuscita, a fatica, a tenere il bambino vicino a
me. Ero stravolta, ho chiesto aiuto alle infermiere, chiedendo loro se potevano prenderlo almeno per un po’,
mi è sempre stato tuttavia risposto che non era possibile portarlo
nella nursery. E lo stesso è accaduto la notte di sabato. Anzi, mi
sentivo peggio dei giorni precedenti. Ho chiesto ancora di prendere il
bimbo, non l’hanno fatto. Due notti ho resistito, l’ultima ero davvero
affaticata. “Non è possibile”, mi è stato risposto ancora una volta».
Come stava il bambino fino a quel momento?
«Benissimo,
in piena salute. Pesava più di tre chili. Le infermiere mi hanno dato
alcune indicazioni su come mettermi sul letto per allattarlo, ma a parte
la stanchezza avevo sempre una flebo attaccata al braccio. Mi muovevo
con difficoltà. Poi quella notte sono crollata, non ce la facevo
proprio. Da quel momento non ricordo più nulla».
Fino a quando?
«All’improvviso,
nel cuore della notte, sono stata svegliata dalle infermiere: il bambino
non stava più nel letto con me. Senza dirmi una parola, mi hanno fatto
alzare e mi hanno portato in una stanza vicina: lì mi hanno comunicato
che il bimbo era morto. Non ricordo che fosse presente una psicologa,
e nemmeno che mi abbiano dato una spiegazione più approfondita. Di
sicuro non mi hanno detto come era successo. A quel punto non ho capito
più niente, mi è crollato tutto addosso. Forse sono anche svenuta».
Quando ha appreso la notizia di quello che era successo al piccolo?
«Ho realizzato a poco a poco. Non ricordavo niente di quella notte. Non capisco come sia potuta succedere una cosa del genere: ho chiesto aiuto per tre notti di seguito al personale del reparto in cui ero stata ricoverata
(Ostetricia e ginecologia, ndr), non mi hanno ascoltato. Due giorni
dopo, il 10 gennaio, ho firmato le dimissioni e sono tornata a casa.
Adesso pretendo giustizia».
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