L’Europa rischia l’esclusione dal grande gioco africano
C’è poi l’altra faccia dell’espansione cinese. Oltre al capitalismo di Stato che fa incetta di contratti pubblici, si stima che l’Africa ospiti ormai un milione di imprenditori cinesi. Questo è capitalismo privato che va alla conquista del suo Far West in ordine sparso, con uno spirito pionieristico. Noi occidentali di questa invasione vediamo solo il lato oscuro: sfruttamento, razzismo, abusi contro i lavoratori locali, saccheggio di risorse ambientali. Perdiamo la prospettiva storica che invece adottano alcuni osservatori africani: pensano che se la Cina riuscirà a esportare sul loro continente il suo modello d’industrializzazione, finalmente l’Africa avrà svoltato. Il boom economico cinese non fu «un pranzo di gala», per parafrasare Mao Zedong, però ha sollevato dalla miseria un miliardo di persone.
Esiste una ricetta alternativa? Forse sì, ma noi ci guardiamo bene dal proporla. Le multinazionali occidentali che si avventurano in Africa si attirano immediatamente dei processi alle intenzioni: dalla nostra magistratura alle ong, le accuse preventive di neocolonialismo e corruzione sono un deterrente formidabile. Le aziende cinesi o russe non hanno di questi problemi, quando ci rubano sotto il naso contratti di appalto pagando tangenti ai governi locali. Il nostro estremismo dei diritti umani diventa una forma d’impotenza. Peggio: siamo i primi ad avallare l’alibi delle élite africane più corrotte, secondo le quali esiste un solo imperialismo, quello occidentale. Ramaphosa docet.
La missione di Giorgia Meloni è al tempo stesso indispensabile e insufficiente. L’Italia, come tutti i Paesi europei, deve effettuare una torsione geostrategica verso Sud. Il primo shock energetico nel 1973 ci costrinse a cercare energia affidabile e a buon mercato a Mosca, perché l’Opec ci negava il petrolio. Oggi è Putin ad aver reciso il nostro cordone ombelicale, obbligandoci a un «ritorno al futuro», in cerca di energia nordafricana e mediorientale. È giusta l’idea di un Piano Mattei che evoca una continuità mediterranea nella politica estera italiana. Però nel Mediterraneo oggi si viene rispettati se si ha la forza delle armi, oltre alle risorse economiche. Tra le flotte militari che presidiano le nostre coste Sud si sono potenziate quelle di Russia e Turchia, mentre la Francia arretra e perde alcune delle sue zone d’influenza. In un recente viaggio in Egitto ho avuto conferma del perché il Cairo, malgrado gli aiuti che riceve dagli Stati Uniti, non osa applicare sanzioni alla Russia: le milizie di Putin sono in Libia e in Siria. I leader africani, mentre recitano le giaculatorie di una ideologia anticolonialista, praticano la realpolitik e osservano i muscoli militari in campo.
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